L’INCONTRO
Intervista al prof. Luca Longo degli studenti del Cairoli

«È molto difficile rispondere alla domanda su quale sia l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla vita di tutti i giorni: voi siete cresciuti e nati parallelamente a questa e l’avete sempre avuta a portata di mano, bisognerebbe preoccuparsi di più dell’uso etico che ne facciamo, piuttosto che cercare di fermarne il progresso».
Queste le parole di Luca Longo, professore alla Technological University di Dublino e specializzato in IA.
Le classi 5E e 2E del liceo classico E. Cairoli di Varese, sezione English Plus, durante il soggiorno studio nella capitale irlandese, svoltosi tra il 07 e il 13 aprile, hanno avuto l’opportunità di intervistare il docente e capire più a fondo la natura e i possibili utilizzi pratici di uno strumento che ormai è diventato facilmente accessibile a tutti: l’intelligenza artificiale.
Innanzitutto, dice il professore, per poter capire cosa sia effettivamente l’IA bisognerebbe partire dalla definizione di “intelligenza”; ma non è così semplice dare a questo concetto una forma ben definita in quanto astratto e decisamente pluridimensionale.
In modo spiccio, potremmo affermare che l’intelligenza è la capacità di apprendere da esperienze passate e di riuscire a risolvere problemi; tuttavia con questa definizione emarginiamo tutte le sfumature, le diramazioni che ne derivano.
Per quanto riguarda l’IA troviamo la stessa organizzazione in molteplici sottoinsiemi, dei quali riteniamo più rilevante soffermarci sui concetti di machine learning, ragionamento automatico e black box.
Il primo consiste nel tempestare di informazioni il computer, in modo che questo possa imparare dai dati acquisiti a riconoscere immagini in modo sempre più accurato, in quanto la macchina, con l’esperienza, impara, e migliora la propria prestazione.
Per spiegare, invece, ciò che si intende con “ragionamento automatico”, Longo ha preferito utilizzare un esempio tratto dalla sua esperienza personale, parlandoci della sua nipotina Sofia di cinque mesi: una bambina quando nasce non possiede ancora informazioni di alcun tipo nella sua testa, poiché non ha accumulato nessuna esperienza; nei primi mesi di vita si ritrova dunque a “fotografare” un elevatissimo numero di immagini di ciò che accade intorno a lei, cosicché emergono dei pattern ricorrenti che la bimba può associare a determinati concetti. Allo stesso modo nel computer si attiva un processo mediante il quale si manipolano simboli e regole per derivare nuove informazioni da quelle già presenti.
Il modello di black box, infine, è definibile letteralmente come una scatola nera dalla quale possiamo estrarre un risultato, senza però sapere come sia stato prodotto e processato all’interno. Un esempio per questo tipo di intelligenza artificiale è la famosissima applicazione “ChatGPT”, alla quale basta una semplice domanda per fornirti interi testi argomentativi, definizioni o spiegazioni per quasi ogni tipo di argomento.
Un’applicazione come ChatGPT è ormai accessibile a tutti coloro che possiedono un computer, uno smartphone o un qualsiasi dispositivo connesso ad internet. Noi ragazzi, della generazione Z e Alpha, siamo nati in un’era dove la tecnologia si era già insinuata nella quotidianità di tutti, crescendo mano nella mano insieme a noi.
Parallelamente allo sviluppo tecnologico, però, sono emerse delle riflessioni di natura etico-morale che vorrebbero contrastare questo progresso. Tuttavia, ciò su cui sarebbe veramente necessario soffermarsi, è l’utilizzo, spesso improprio, che l’uomo fa di questo strumento.
Ci stiamo sempre di più avvicinando a ciò che gli esperti chiamano “singolarità tecnologica”. Si tratta del momento, molto vicino a noi (la presunta datazione si andrebbe a collocare all’anno 2045), in cui l’evoluzione dell’intelligenza artificiale rappresenterà una profonda transformazione nelle capacità umane.
Il punto di non ritorno per quanto riguarda il progresso in questo campo della tecnologia sarebbe la costruzione di una macchina che ragiona come l’essere umano. Il matematico Alan Turing ha ideato un prototipo di esperimento in cui una persona pone delle domande attraverso un computer ad una macchina e ad un essere umano che si trovano al di là di un muro: se alla persona in questione risulta impossibile distinguere le risposte della macchina da quelle dell’essere umano, significa che l’IA ha imparato a ragionare come l’uomo e irrimediabilmente si è raggiunto il punto in cui potrebbe sostituirlo in ogni ambito... o forse no?
Attualmente è molto diffuso il fenomeno del plagiarismo, sia a scuola sia sui posti di lavoro: sarebbe il caso che nessuno si facesse sopraffare dalla pigrizia, che la comodità dell’uso dell’intelligenza artificiale risveglia in tutti noi. Se prendiamo come esempio il lavoro di un medico possiamo affermare che questo possa essere sostituito da una macchina per quanto riguarda la formulazione di una diagnosi e la prescrizione di un qualche farmaco, ma mai potrà prendere il suo posto nel rapporto umano tra medico e paziente, che è alla base di questa professione.
L’IA, per quanto sviluppata possa diventare nei prossimi anni, non potrà mai provare dei sentimenti e sostituire quell’emotività che è caratteristica dell’essere umano.
Leggi anche l’intervista di Aurora Vernocchi (5E)
© Riproduzione Riservata