ASSOLTO BINDA
La sorella di Lidia: «Sentenza affrettata»
Stefania Macchi in lacrime dopo il verdetto: «Non ci fermeremo»

«Delle criticità ci sono, qualche minimo approfondimento in più andava fatto, così mi sembra una sentenza un po’ affrettata. Abbiamo retto per 32 anni, andremo avanti anche questa volta, vogliamo la verità».
Trattiene le lacrime Stefania Macchi, sorella di Lidia, la giovane studentessa di Varese uccisa nel gennaio 1987, dopo l’assoluzione di Stefano Binda decisa dalla Corte d’Assise d’appello di Milano, che ha ribaltato la condanna di primo grado all’ergastolo.
Lascia quindi il carcere di Busto Arsizio il 51enne, che frequentava con la ragazza all’epoca lo stesso ambiente di Comunione e Liberazione e che era stato arrestato nel gennaio 2016, dopo la riapertura delle indagini da parte della Procura generale milanese, e poi condannato al carcere a vita a Varese per omicidio volontario pluriaggravato.
Il legale Daniele Pizzi, che assiste la sorella parte civile insieme alla madre di Lidia, Paola Bettoni, ha già annunciato ricorso in Cassazione contro il verdetto. «Quindici giorni e tre udienze sono troppo pochi per emettere un verdetto - ha spiegato l’avvocato - questa sentenza è stata la trentesima coltellata inferta a Lidia».
La sorella Stefania ha aggiunto: «Lidia non ce la restituisce nessuno, così come questi trent’anni senza di lei». E ha chiesto allora che venga fatta luce sul responsabile di quel brutale assassinio: «Chiunque vorrebbe sapere che cosa è accaduto quella notte».
Stefania Macchi ha anche parlato della lettera contenente l’ormai nota poesia «In morte di un’amica» e che fu inviata il giorno del funerale della 21enne alla famiglia. Secondo il sostituto pg Gemma Gualdi e una consulenza grafologica della Procura generale, quel componimento era stato scritto da Binda, l’assassino per l’accusa oggi caduta.
«Quella lettera l’avevo aperta io quando è arrivata a casa nostra - ha raccontato Stefania - una lettera così non l’avrei mai mandata. Avevo 18 anni allora, ma subito ho pensato che l’avesse scritta l’assassino».
La sorella di Lidia ha detto anche che per lei «Non ha valore» la testimonianza resa la scorsa udienza da Piergiorgio Vittorini, penalista bresciano che ha raccontato che nel febbraio 2017 un suo cliente gli disse di avere scritto la lettera. Se il presunto autore «Avesse voluto dare una mano a noi - ha concluso - o una mano a Binda che si era preso un ergastolo, si doveva fare avanti prima».
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