L’INTERVISTA
Maccione: «Setta? No, fu per le donne»
Era il medium delle Bestie di Satana: ora scrive libri e salva animali

Era il medium delle Bestie di Satana, quello che dava voce all’entità spiritica Noctumonium, un anticristo, diventato tale quando la famiglia lo mandò a studiare dai Salesiani. Oggi Mario Maccione ha 43 anni, diciassette dei quali trascorsi in carcere per gli omicidi di Fabio Tollis e Chiara Marino. Vive in Sardegna a contatto con la natura, compone musica, scrive libri. Lavora con le criptovalute, salva animali in difficoltà e rifugge i ritmi dei sobborghi metropolitani che segnarono la sua adolescenza. La setta che orripilò il mondo? «Nessuna setta, tutto ciò che accadde in quegli anni fu innescato dalle donne».
È un Mario Maccione spirituale e zen quello che ritroviamo a distanza di diciannove anni dall’arresto. Cosa ha operato questa trasformazione?
«Il carcere è stata la mia salvezza, mi ha permesso di ricostruire me stesso, di analizzarmi, di curare le mie dipendenze. Ho finito di scontare la pena nel 2017, quando uscii dal carcere nessuno mi aiutò a reinserirmi. Mi ritrovai da solo, se non fosse stato per un operatore della Casa della Carità che mi dette un posto dove stare non avrei saputo come ripartire. Questo bisogna dire: in Italia non si investe nel reinserimento e nella riabilitazione del detenuto. E così il rischio di recidivanza è altissimo. Ho dovuto lavorare molto su me stesso, con la psicanalisi e la meditazione per andare oltre l’ansia, la depressione e le lotte interiori. Con il mio prossimo libro voglio spiegare a chi ne ha bisogno il cammino per uscire dalle dipendenze, da qualsiasi tipo di dipendenza. Quello che ho vissuto io, la strada percorsa anche per superare gli attacchi di panico, vorrei che fosse di insegnamento per gli altri. Oggi la mia esistenza è fatta di cose semplici, condivise con la donna che amo da sempre e che mi è stata vicino. Faccio passeggiate con il mio cane, sono immerso in paesaggi stupendi, tra la montagna e il mare, studio filosofie orientali e approfondisco i temi che mi appassionano, come la naturopatia, l’erboristeria. Se non mi avessero arrestato non avrei avuto la possibilità di diventare una nuova persona. Sono forse più trasgressivo di un tempo: non bevo, non fumo, mi alleno, mangio in modo salutare».
Il Ferocity delle Bestie di Satana ora è solo Mario, un uomo che non conosce più né rabbia né frustrazione.
«Ho avuto una grande metamorfosi per la quale devo ringraziare gli educatori del carcere di Bollate, un penitenziario nato sull’esempio canadese. E poi la psicologa che conobbi durante la detenzione a Busto, che mi ha seguito successivamente e che sento ancora, gli amici che mi sono stati vicini. Ho un grande rimpianto però: avrei voluto che mio padre mi vedesse libero e rinato, purtroppo è morto prima. L’ha ucciso anche il dolore».
Una retrospettiva sul bosco tra Somma Lombardo e Arsago Seprio: cosa vi portò a tanta efferatezza?
«Ripeto, la causa è da ricercare nelle donne, nel rapporto che Paolo Leoni instaurava con le ragazze. Provarci con le “sue” donne significava fargli un affronto. Il satanismo non c’entrava niente. La nostra era una banda in cui si rilanciavano continuamente sfide e prove di forza. Abusavo di droghe, vivevo sospeso tra la realtà deformata e la fantasia malata. Quando parlavamo di uccidere era come se fosse un gioco, non pensavo che saremmo mai arrivati a farlo. Per me era una finzione, un atteggiamento sbruffone. Della notte del 17 gennaio del 1998 io non ricordo altro che il sangue che avevo addosso, della coltellata che mi ha lasciato la cicatrice. Gli altri mi fecero credere di aver ammazzato io Fabio e Chiara per difendermi da un’aggressione. Avevo un macigno addosso che cercavo di rimuovere eccedendo con gli stupefacenti, per mesi restai in paranoia. Fino a quando e che avremmo dovuto eliminare Andrea Bontade. Io feci di tutto per allontanarmi sapendo che il prossimo sarei stato io. Ci hanno provato tante volte a farmi fuori. Anche la sera in cui venne uccisa Mariangela Pezzotta Volpe e Nicola Sapone mi chiamarono. Volevano che andassi a Golasecca con il pretesto di una festa. Ma non c’era nessuna festa, non ci cascai. Ormai loro avevano solo un obiettivo: togliere di mezzo chiunque sapesse dell’omicidio di Chiara e Fabio. Mi chiedevo come gli inquirenti non arrivassero a capire che fine avessero fatto anche perché Volpe e gli altri ne parlavano continuamente. Se non fosse stato per il papà di Fabio, che si recò in procura a Busto per spiegare chi fosse Volpe, forse sarebbe rimasto un mistero».
Che opinione si è fatto della giustizia?
«Ho incontrato alcuni magistrati competenti e altri invece no. Si salvano in pochi. La maggior parte di loro fa un lavoro mediatico, molto vicino a quello che indica la politica. La politica controlla i media che a loro volta influenzano la magistratura. Anche nel nostro caso molti aspetti sono rimasti solo in superficie, non sono stati scavati i moventi ma si è pensato soprattutto a dare una risposta all’opinione pubblica. Vorrei però sottolineare un altro aspetto della giustizia, ossia l’importanza della riabilitazione e della rieducazione. Investire sui detenuti significa costruire un sistema più sano. Guardiamo ai modelli dell’Europa del nord dove chi sbaglia paga - io ho accettato i diciannove anni di pena senza mai battere ciglio - ma paga in modo costruttivo. Io mi sono trovato abbandonato a me stesso e non è stato facile reinserirmi senza il sostegno di una rete».
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