SPACCIO
Boschi liberati dalla droga
In 12 mesi 32 operazioni. Ieri trovate altre due tende alle grotte di Caldè
Nell’anno appena trascorso i carabinieri della Compagnia di Luino, guidata dal capitano Alessandro Volpini, hanno assestato un duro colpo agli spacciatori dei boschi, culminato nell’operazione Maghreb e nelle condanne con pene fino a 40 anni di carcere comminate venerdì scorso.
Ma l’attività è tutt’altro che terminata, sottolinea il comandante Volpini, e la guardia resta alta. Dell’altra sera l’ultima segnalazione dei cittadini ai carabinieri. Era stata notata la presenza di due tende del tipo usato dai pusher per attendere i clienti, sulla vecchia strada che costeggia le gallerie fra Caldè e Colmegna. Per raggiungerle i militari della stazione di Castelveccana hanno utilizzato la motovedetta, ma giunti sul posto i pusher si erano già allontanati. Questo lascia pensare che, con il freddo di queste notti, di sicuro non si riparano lì sotto ma le usano solo per attendere di giorno i clienti.
Con l’apporto sul territorio del Nucleo operativo, nei mesi appena trascorsi sono state vagliate tutte le segnalazioni giunte sulla presenza di spacciatori, per lo più maghrebini, che si avvalgono di manovalanza locale. Segnalazioni considerevolmente diminuite negli ultimi mesi.
Intanto però emergono dettagli che consentono di delineare una “mappa” aggiornata della situazione dello spaccio locale ma anche dei “gusti” dei consumatori.
Per esempio, accanto all’eroina classica andava forte anche il consumo di quella sintetica, nota come “eroina nera”, ma nei boschi del Varesotto si spaccia anche cocaina, marijuana e hashish.
Gli spacciatori arrivavano “in trasferta” dal nord del Milanese, appoggiandosi in zona per il supporto logistico a italiani residenti nel Varesotto. Il modus operandi vedeva i boschi come area prediletta, con sacchi a pelo e tende, fornelletti e viveri, spesso ritrovati dall’Arma, e i malviventi presenti per l’intera giornata. Gli acquirenti li contattavano su cellulari intestati a persone fittizie, utenze utilizzate esclusivamente per ricevere le ordinazioni delle sostanze. Telefoni e droga venivano poi nascosti nei boschi.
Per indicare i luoghi di spaccio si utilizzavano nomi convenzionali come “la sbarra”, “il cartello blu”, mentre per specificare la droga richiesta si usavano termini come “la bianca” per la cocaina, “roba” o “scura” per l’eroina. L’orario di ritiro era determinato esattamente e per acquistare le dosi o i pusher uscivano dal bosco a fare le consegne ai clienti giunti in auto o in moto, oppure erano essi stessi ad addentrarsi nel folto degli alberi.
Un sistema collaudato, disarticolato però grazie all’impegno dei 367 militari che hanno operato.
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