LA SENTENZA
Non abusò della figlia. Verdetto ribaltato
Assolto in appello papà albanese che in primo grado era stato condannato a 3 anni e 6 mesi
Verdetto ribaltato. Il sedicente papà orco era stato condannato dal Tribunale di Varese in composizione collegiale (presidente Orazio Muscato) a tre anni e sei mesi di carcere perché ritenuto colpevole di aver pesantemente violato l’intimità della figlia con reiterate molestie commesse quando lei aveva tra i 12 e i 16 anni.
Ora. lo stesso imputato, un albanese di Venegono Inferiore, di 47 anni, è pienamente riabilitato dai tre giudici della prima sezione della Corte d’Appello penale (presidente Francesca Vitale) con tanto di sentenza di assoluzione ai sensi della vecchia insufficienza di prove.
Facile immaginare la soddisfazione (professionale s’intende) del difensore, l’avvocato Luca Carignola, bravo nel far valere le ragioni del suo assistito, nei confronti del quale in primo grado la Procura varesina aveva addirittura sollecitato una condanna esemplare a otto anni carcere.
Nel corso della sua arringa, ieri, il legale ha messo in luce le tante contraddizioni nel racconto della presunta vittima. A suo dire, la ragazza, con freddezza e determinazione, avrebbe di proposito incolpato il papà, che ha sempre negato di aver mai messo le mani addosso alla figlia, pur di liberarsi dalla “morsa” di quel genitore sin troppo severo, invadente, oppressivo e troppo ancorato a una cultura patriarcale albanese, vecchio stile.
Rivolgendosi ai giudici della Corte d’Appello, che si sono riservati 90 giorni per depositare le motivazioni alla sentenza, l’avvocato Carignola ha indugiato sulle bugie che avrebbero contraddistinto il racconto della ragazza, che dopo essere diventata maggiorenne, ha peraltro scelto curiosamente di ritornare a vivere a casa dai suoi genitori (i genitori ai quali era stata allontanata con provvedimento del Tribunale per i minorenni).
Qualche esempio? Aveva detto che a scuola andava molto bene e invece la pagella del primo quadrimestre ricevuta pochi giorni prima di sporgere denuncia era un concentrato di insufficienze, per di più, era stata abbinata a lettera di richiamo da consegnare ai genitori (che non l’hanno mai vista, Ndr).
E ancora: le avevano trovato un test di gravidanze in borsetta e lei aveva detto che apparteneva a una sua amica. Invece era tutto inventato. Nel seno che era suo e l’aveva utilizzato dopo un rapporto con il fidanzatino dell’epoca.
Infine, anche durante l’incidente probatorio, la giovane aveva detto che di fronte alle mani addosso del padre si ribellava urlando, ma mai nessuno nel palazzo in cui abitava ha mai sentito le sue richieste di aiuto.
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