2 GIUGNO 1946
La storia (vera) di un (vero) falso
Se ne parlava da giorni, sui giornali e in televisione: Mixer - la trasmissione di Rai2 condotta da Giovanni Minoli - prometteva uno scoop sensazionale. Poi, lunedì 5 febbraio 1990, andò in onda: Minoli presentò un signore anziano, tale Alberto Sansovino. Era un ex-giudice della Corte d’Appello, l’organo incaricato di validare il referendum tra Repubblica e Monarchia del 2 giugno 1946. Con la voce rotta dall’emozione, Sansovino raccontò la sua incredibile storia: «nella notte tra il 3 e il 4 giugno bisognava sostituire o aggiungere un milione e mezzo di schede per la Repubblica senza destare sospetto», confessò. A suo parere l’Italia «rischiava la guerra civile».
Così, dopo una riunione segreta, sette giudici avevano bruciato le schede “monarchiche” e le avevano sostituite con due milioni, già preparate, a favore della Repubblica.
Incredibile. Il referendum era stato truccato: l’Italia sarebbe dovuta rimanere una Monarchia e la Repubblica era una frode. O forse no.
Alla fine della puntata, di fronte agli spettatori allibiti, Minoli ammise: era tutto falso, una beffa per «potere riflettere sul mezzo televisivo e sul suo uso».
Una burla innocua, forse, ma immediatamente nel Paese si scatenò una violenta polemica: le voci sui brogli – è noto – circolavano sin dal 1946, e ancora se ne discuteva.
Nondimeno, il referendum era, e simboleggiava, il momento della rinascita dell’Italia democratica, che aveva sconfessato per sempre il fascismo e la monarchia. E non poteva essere una truffa: le Istituzioni e il senso di appartenenza e di comunità nazionale ne sarebbero usciti demoliti. Così, ci si ricominciò a interrogare: cosa era accaduto in quei giorni decisivi per il futuro del Paese?
Torniamo allora al 1946. In un primo momento il risultato sembrò in altalena: la sera del 3 giugno la Repubblica era in vantaggio, ma durante la notte passò in testa la Monarchia. E la voce iniziò a circolare. In realtà stavano arrivando i risultati del Sud, che aveva votato in maggioranza in favore dei Savoia, mentre al Nord oltre il 65% aveva scelto la Repubblica.
Dalla mattina del 4, comunque, apparve tutto chiaro: sulla base dei “voti validi” la Repubblica avrebbe vinto senza dubbio, e il 5 il Ministro dell’Interno Giuseppe Romita lo annunciò pubblicamente. Il giorno dopo molti giornali titolarono: “È nata la Repubblica Italiana”.
Ma non era ancora finita. Il 7 un gruppo di giuristi di Padova presentò un ricorso: il decreto col quale era stato indetto il referendum prevedeva incautamente la vittoria sulla base della “maggioranza degli elettori votanti” e non, come accade di solito, sulla “maggioranza dei voti validi”. Quindi, in teoria la Repubblica per vincere avrebbe dovuto ottenere più voti della somma di quelli della Monarchia, delle schede bianche e delle nulle: così il 10 giugno il presidente della Cassazione, Giuseppe Pagani, non proclamò i risultati definitivi, ma comunicò solo i risultati senza il conteggio delle schede bianche e nulle.
Nessuna truffa, quindi, solo un pasticcio: ma i monarchici invece iniziarono a far circolare voci sui brogli e nel Sud manifestazioni a favore del Re furono represse duramente, con almeno sette morti. La situazioni si fece esplosiva: re Umberto, del resto, comunicò che avrebbe ceduto formalmente i poteri solo dopo la proclamazione ufficiale. Il Paese rischiava di spaccarsi in due. Poi, il 12 giugno, il governo decise: il presidente De Gasperi avrebbe assunto le funzioni di Capo provvisorio dello Stato. E chiuse la partita.
Così il 13, con saggezza e pur contestando l’atto “rivoluzionario”, il re abbandonò l’Italia e partì per l’esilio in Portogallo. Alla fine arrivarono anche i risultati: 12 milioni e 718.641 per la Repubblica, 10 milioni e 718.502 per la Monarchia. Anche sommando le schede nulle e bianche - circa un milione e mezzo - la Repubblica aveva vinto nettamente e senza alcun broglio. Era nata - un po’ faticosamente - la Repubblica Italiana. Ma, soprattutto, finalmente la sovranità apparteneva a tutto il popolo.
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