IL DELITTO
Uccise Carol perché capì di «averla persa»
Omicido Maltesi, le motivazioni della condanna di Davide Fontana a 30 anni: non ci fu premeditazione

La vera ragione per cui Davide Fontana, l’11 gennaio 2022, uccise Carol Maltesi «va individuata nella circostanza che l’uomo si rese conto che ormai, dopo averla in qualche misura usata, Maltesi si stava allontanando da lui, scaricandolo»: si legge nelle motivazioni della sentenza con cui il 12 giugno la corte d’assise ha condannato il bancario quarantaquattrenne a trent’anni di reclusione. «L’idea di perdere i contatti stabili con colei che egli, per sua stessa ammissione e secondo l’amica testimone, amava perdutamente, da cui sostanzialmente dipendeva poiché gli aveva permesso di vincere la sostanziale solitudine in cui si consumava in precedenza e di vivere in modo finalmente diverso e gratificante, si è rivelata insopportabile», scrive il presidente della corte di Busto Arsizio, Giuseppe Fazio.
NON E’ LA GELOSIA
A parere dei giudici Fontana «si è reso conto che la giovane e disinibita Carol Maltesi (attrice porno amatoriale, ndr) si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo avesse usato e ciò ha scatenato l’azione omicida. A spingere l’imputato non fu la gelosia ma la consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte». Questo dunque il movente dell’omicidio e per la corte d’assise non può essere considerato abietto o futile in senso tecnico-giuridico». Né il delitto è stato premeditato: potrebbe essere stato frutto di una decisione maturata lentamente, «ma fu conseguenza di condotta voluta dall’imputato sorretta da dolo diretto se non da dolo intenzionale, ma non di premeditazione».
VIA D’USCITA
Non che si possa condividere il metodo, ma da un punto di vista soggettivo, calandosi nella testa di Fontana «l’omicidio era un modo per venire fuori da questa condizione di incertezza e sofferenza non più sopportabile, innescata dalla decisione della stimolante donna amata di allontanarsi da lui», si legge nelle motivazioni. La condotta di Fontana «tenuto conto del particolare momento in cui venne posta in essere, non può essere considerata futile», dunque non sussiste l’aggravante. La causa scatenante non è da ritenersi turpe o spregevole più di ogni altro motivo che induca a un delitto cruento, poiché non è stata espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato o un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale».
ORRIDO, NON CRUDELE
I giudici della corte d’assise (a latere di Fazio Rossella Ferrazzi e i popolari) affrontano la macabra questione del depezzamento del corpo della ventiseienne, che tanto ha inciso sulla sensibilità collettiva. «Non si può fare il grave errore di desumere la crudeltà nel realizzare l’omicidio dalla raccapricciante, orripilante condotta successiva e in particolare dall’agghiacciante gestione del cadavere e dello spaventoso scempio fattone, che tanto orrore ha suscitato nell’opinione pubblica», premette il presidente Fazio. «Fontana, compiuto l’omicidio, voleva liberarsi del cadavere definitivamente, definitivamente distruggendolo. Intanto cercava di nascondere in altro modo il decesso di Carol continuando a usare il suo smartphone e i suoi profili social. Tali condotte assorbono l’abbandono dei resti nella scarpata di Borno, perché voleva liberarsene e impedirne il ritrovamento». Il pubblico ministero Carlo Alberto Lafiandra - che aveva chiesto l’ergastolo - e i difensori Stefano Paloschi e Giulia Ruggeri - che puntano a una pena inferiore - valuteranno il ricorso in appello.
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