MENSA DEI POVERI
«Orrigoni non va condannato»
Gli avvocati di “Mister Tigros” contro la Procura generale: appello inammissibile

Effetto dejà vu, oggi, giovedì 12 giugno, nel processo milanese d’appello di Mensa dei Poveri. Stessa aula (quella della Corte d’Assise d’Appello dove si è trasferita per ragioni di spazio la seconda Corte d’Appello), stesso imputato eccellente (mister Tigros, Paolo Orrigoni) e stesso collegio difensivo (gli avvocati Federico Consulich e Francesco D’Alessandro). Giusto come a fine maggio di due anni fa. Allora, la difesa di Orrigoni aveva dovuto fronteggiare l’imputazione di corruzione in relazione alla costruzione di un supermercato nell’area di via Cadore/via Torino a Gallarate. Stavolta, dopo che la sentenza della sesta sezione del Tribunale di Milano lo ha assolto con formula piena da quella accusa (accusa per la quale tutti gli altri protagonisti dell’intricata vicenda hanno invece patteggiato: dall’ex assessore all’Urbanistica Alessandro Petrone a Nino Caianiello, dall’ex coordinatore cittadino di Forza Italia Alberto Bilardo a Pier Enrico Tonetti, il costruttore che aveva concordato di vendere l’area dell’ex opificio a Tigros per la non modica cifra di 4,6 milioni di euro), i due legali si sono confrontati con l’atto di impugnazione con il quale la Procura di Milano ha sollecitato di nuovo la condanna dell’ad di Tigros per il reato di traffico di influenze illecite.
A questo proposito, la scorsa udienza il sostituto procuratore generale Vincenzo Fiorillo aveva concluso la propria requisitoria sollecitando sì l’assoluzione, ma solo perché le recenti modifiche apportate dalla legge Nordio al reato di traffico di influenze illecite lo hanno reso di fatto inapplicabile al caso di specie. Da qui la richiesta di assoluzione «perché la fattispecie contestata non è più prevista come reato». Oggi, le difese di Orrigoni hanno contestato le conclusioni alle quali è pervenuta la Procura Generale. A detta loro, l’unica assoluzione possibile non può che essere quella già sentenziata e motivata al termine del dibattimento di primo grado. Per questo, gli avvocati Consulich e D’Alessandro hanno insistito perché «l’atto d’appello proposto dalla Procura debba essere dichiarato inammissibile».
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