IL CASO
Palestina: «Disegno di legge della Lega contro il diritto alla protesta»
L’avvocata Cazzato, già candidato sindaco a Varese, interviene sui concetti di antisemitismo e antisionismo. Dura critica al Carroccio

La manifestazione di sabato 30 agosto a Varese denominata “Va Live Pal”. Le ragioni del popolo palestinese. E soprattutto il disegno di legge del 2024 presentato dalla Lega per definizione operativa di antisemitismo. Caterina Cazzato, avvocato, già referente locale dell’Associazione socialista liberale e candidata sindaco, nell’ultima tornata elettorale nel capoluogo, prende posizione con un intervento duro e giuridicamente articolato.
«UN GENOCIDIO»
«La grande e riuscita manifestazione di Varese del 30 agosto – Va Live Pal, promossa dall’ormai storico Comitato Varesino per la Palestina e da altre associazioni ad esso vicine e patrocinata dal Comune, a sostegno delle ragioni del popolo palestinese dilaniato da un genocidio che sta sollevando le coscienze di tutti, evidenzia il forte contrasto di opinioni largamente condivise nella cittadinanza sui diritti umani e sulla pace e le attuali scelte ideologiche della Lega, sussumibili nel disegno di legge numero1004 del 2024 presentato dal capogruppo della Lega al Senato Massimiliano Romeo alla presidenza del Consiglio dei Ministri l’8 luglio scorso, recante disposizioni per l’adozione della definizione operativa di antisemitismo, che potrebbe vietare ogni espressione critica nei confronti dello stato d’Israele, attualmente all’attenzione del Senato» scrive Caterina Cazzato.
«LIMITAZIONE DEL DIRITTO DI LIBERA RIUNIONE»
«Il testo - spiega - è composto da tre articoli, che si basano sulla definizione di antisemitismo definita dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’olocausto (IHRA) del 2015, formalmente adottata nel 2016; tali norme sarebbero volte a contrastare la moltiplicazione di episodi antisemiti, sicuramente riprovevoli, registrati dopo il 7 ottobre 2023, basati “sul negazionismo delle violenze, soprattutto contro le donne e i bambini e su un radicale rifiuto di Israele”».
«In particolare, l’articolo 2 - prosegue Caterina Cazzato - riguarda il consolidamento di una cultura libera da pregiudizi e stereotipi nei confronti degli ebrei in quanto popolo attraverso banche dati sugli episodi di antisemitismo, la formazione per evitare la proliferazione del linguaggio d’odio e campagne di informazione».
L’ attenzione critica di politici e commentatori è stata motivatamente attratta dall’articolo 3 del Ddl, in particolare, prevede “il diniego all’autorizzazione di una riunione o manifestazione pubblica per ragioni di moralità che può essere motivato anche in caso di valutazione di grave rischio potenziale per l’utilizzo di simboli, slogan, messaggi e qualunque altro atto antisemita ai sensi della definizione operativa di antisemitismo adottata dalla presente legge».
«Tale norma - sostiene Cazzato - introdurrebbe una modifica al Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (Tulps) e in particolare dell’articolo 18 che regolamenta la comunicazione preventiva che va data al Questore prima delle manifestazioni pubbliche. Infatti, la nuova proposta stabilisce che il questore possa negare l’autorizzazione a riunioni e manifestazioni sulla base di un vago “grave rischio potenziale” legato all’uso di simboli o messaggi considerati antisemiti. Questo cambiamento rappresenta una limitazione del principio di libera riunione garantito dall’articolo 17 della Costituzione, introducendo un livello di discrezionalità che potrebbe ridurre le proteste, in particolare quelle pro-Palestina o critiche nei confronti del sionismo».
ANTISEMITISMO E ANTISIONISMO
«Ma in che consiste la definizione di antisemitismo da adottare secondo il DDL in parola? L’Unione Europea, con risoluzione del 1 giugno 2017 sulla lotta contro l’antisemitismo, ha invitato gli Stati membri, le istituzioni e le agenzie ad adottare tale definizione di antisemitismo (38 parole a cui seguono 11 esempi):” l’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio nei loro confronti. Le manifestazioni retoriche e fisiche di antisemitismo sono dirette verso le persone ebree o non ebree e/o la loro proprietà, le istituzioni delle comunità ebraiche e i loro luoghi di culto”. Seguono gli esempi, fra cui, il secondo recita: ”avanzare accuse false, disumanizzanti, perverse o stereotipate sugli ebrei, in quanto tali o sul potere degli ebrei come collettività, ad esempio, ma non esclusivamente, il mito di una cospirazione mondiale ebraica o degli ebrei che controllano i media, l’economia, il governo o altre istituzioni locali”. Il terzo: “accusare gli ebrei di essere responsabili di comportamenti scorretti, effettivi, o immaginari, commessi da una sola persona o da un gruppo ebraico, o addirittura di atti commessi da non ebrei” e il settimo: “negare al popolo ebreo il diritto all’autodeterminazione, ad esempio sostenendo che l’esistenza di uno Stato d’Israele è un atteggiamento razzista” e infine, il decimo: ”paragonare la politica odierna di Israele a quella dei nazisti”».
«La definizione è stata elaborata dall’avvocato americano Kennet Stern, autodefinitosi antisionista, il quale, in un a testimonianza scritta del 2017 al Congresso USA, ha evidenziato che la definizione stessa è stata ideata per perseguire lo scopo pratico di standardizzare la raccolta di dati sull’incidenza dei delitti di odio antisemita nei vari Paesi mentre se ne è fatto un uso improprio, ossia quello di equiparare l’antisemitismo all’antisionismo» si legge nell’intervento di Caterina Cazzato.
«Come risaputo, mentre l’antisemitismo è una forma di razzismo nei confronti degli ebrei di qualsiasi nazionalità, l’antisionismo è la contrarietà al progetto coloniale di insediamento, risalente alla fine del secolo XIX, di creazione di uno Stato ebraico nella Palestina storica, concetto elaborato nel tempo e codificato nella legge sullo stato nazione del luglio 2018: in base a tale progetto, i nativi palestinesi sono destinati ad essere trasferiti negli stati arabi confinati o altrove» osserva Cazzato.
«I dirigenti sionisti hanno esplicitato questa intenzione, come si può desumere dalle dichiarazioni di Hertzl, Ben Gurion, Golda Mair, Rabin, Sharon e altri. Il popolo palestinese resiste ancora alla realizzazione di tale progetto e gli accadimenti consequenziali sono alla portata degli occhi di tutti ormai».
«Essere antisionisti e tantomeno essere contrari alle violenze connesse alla guerra non vuol dire essere antisemiti, odiare gli ebrei e bisogna difendere la libertà di manifestare le idee antisioniste come qualsiasi altra opinione politica. Attenzione, la definizione dell’IRHA su riportata investe tutte le forme di demonizzazione comprese quelle dello Stato di Israele ma non tange la libertà di espressione o il diritto di critica mentre, purtroppo, il disegno di legge in parola ha una portata così vasta da limitare la libertà di esprimere dissenso rispetto a scelte politiche che andrebbero semmai riportate all’antisionismo piuttosto che all’antisemitismo».
«Nell’affrontare temi di tale rilievo è necessaria serietà e rigore mai mistificazione. Il Ddl è stato ritenuto a vario titolo lesivo della libertà di pensiero come da dichiarazioni della senatrice M5S Alessandra Maiorino o dell’onorevole Pd Laura Boldrini la quale ha espresso la sua contrarietà alle previsioni del Ddl con le parole che seguono e che condivido: “…se dovesse mai passare, ogni critica al governo Netanyahu, le richieste di interventi concreti per fermarlo o persino le manifestazioni di piazza, i dibattici pubblici e tutte le iniziative in cui si chiede la fine del genocidio e l’autodeterminazione del popolo palestinese sarebbero vietati per legge: inconcepibile in un paese democratico».
«Scenari auspicabili? Il Presidente della Repubblica potrebbe rifiutarsi di promulgare la legge, rinviandola alle Camere. Tuttavia, se il Parlamento approvasse per la seconda volta la legge in questione il Capo dello Stato sarebbe costretto a promulgarla. Potrebbe essere sollecitato un intervento della Corte Costituzionale per valutare la legittimità di questa legge, qualora venisse promulgata; tale percorso potrebbe portare alla cancellazione della normativa, qualora venisse ritenuta in contrasto con i principi fondamentali della nostra Repubblica» conclude l’avvocata Caterina Cazzato.
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