MOSTRA DEL CINEMA
Paola Freddi: L’aura di bellezza
Da Vergiate a Venezia è una delle maestre del montaggio. Presente in Laguna con uno dei cinque titoli italiani in gara e alla Prealpina dice: «Iddu, film fuori dagli schemi»

«Di nuovo a Venezia. Dopo essere stata al Sundance, a Berlino e a Locarno, sono abituata ad andare ai Festival ma questo per me è un anno record». Paola Freddi, vergiatese, è una delle maestre del montaggio. Non sorprende quindi che sia spesso richiesta da registi o produzioni importanti e che a ogni stagione il suo nome venga accostato a diversi titoli. «Sì, il lavoro c’è - spiega Paola - non mi posso lamentare e, avendo a che fare con il cinema d’autore, spesso il mio compito va oltre il mio ruolo e prendo parte a varie fasi del progetto». Alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia è presente con uno dei cinque film italiani in gara, Iddu - L’ultimo padrino.
C’è molta attesa. Giustificata?
«Più di tanto, prima della proiezione, non si può dire ma è ormai risaputo che è liberamente ispirato a una parte della vita del superlatitante mafioso Matteo Messina Denaro. La chiave di lettura scelta dai registi, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, non è quella epica: si privilegia il grottesco. Tra i punti di forza la prima volta insieme di Toni Servillo ed Elio Germano. Entrambi bravissimi ma il secondo, a mio giudizio, fa un’interpretazione da Oscar».
Per il momento basterebbe la Coppa Volpi ma un pensierino al Leone è legittimo?
«Difficile azzardare previsioni. La tematica è particolare. A me il film piace molto e in genere riesco a dare un giudizio oggettivo. Vedremo».
Lei intanto un trofeo, seppure di squadra, l’ha già messo in bacheca
«Il Gran Premio del Pubblico a Locarno per Reinas, diretto dalla ticinese Klaudia Reyniche, l’opera per cui a inizio anno siamo state ammesse negli Stati Uniti al Sundance Film Festival, prima mondiale nello Utah».
Quanto è importante il montaggio per la riuscita di un film?
«Molto. Non lo sostengo solo io o i miei colleghi in senso stretto. Diciamo che è la terza fase di scrittura cinematografica: quella della parola definitiva dopo la sceneggiatura e le riprese».
Il passaggio al digitale ha tolto poesia al suo mestiere?
«No, l’ha semplificato e velocizzato senza togliere alcuna magia al mio lavoro come al cinema. Sono al montaggio da 35 anni, ho iniziato quasi per caso ma mi sono ben presto appassionata e lo rimango».
Tutto partito da Vergiate?
«Sì, all’inizio come spettatrice assidua dei cinema di Somma Lombardo gestiti da Ennio Cosentino, altro che in fatto di poesia non scherzava. Naturalmente andavo anche a Varese. Un corso organizzato dalla rivista Blade Runner mi ha spinto verso la Scuole Civiche di Milano. Sembrava fosse il momento giusto per fare del capoluogo lombardo un altro polo importante per la produzione cinematografica ma il decollo non c’è stato. Inevitabile trasferirsi a Roma pur conservando la base a Vergiate».
Il lavoro non l’ha mai riportata a casa?
«Nel 1997 avevo montato Ti sa ricordat dal cinema a Vergià?, un cortometraggio di Patrizia Barboni ed Elisa Vago, ne ho un bel ricordo. Nel 2019 ho dato il mio contributo a Guida romantica a posti perduti di Giorgia Farina con scene girate al Palace. Con lei ho appena finito di girare Ho visto un re, commedia deliziosa in uscita l’anno prossimo».
E la si è vista anche in una seratona al Nuovo di Varese con Gabriele Di Luca e Luca Zingaretti.
«Sempre nel 2019, per Thanks!, sala strapiena, un trionfo. Contentissima anche per Gabriele, varesino di talento, straordinario anche a teatro con Carrozzeria Orfeo. E non dimentico che nel 2010 il Baff mi premiò per L’estate di Martino e Varese Cinema mi invitò al Salone Estense per spiegare in pubblico la mia professione».
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