IL CASO
Resta incinta e denuncia i medici
Donna fa causa all’ospedale di Gallarate ma non ottiene il risarcimento

Prossima alla terza gravidanza, aveva scelto di sottoporsi all’intervento chirurgico della chiusura delle tube.
Così, nel gennaio di 13 anni fa, in occasione della nascita della terza figlia con taglio cesareo - per la cronaca, il terzo della serie -, la puerpera, residente a Lonate Pozzolo, aveva concordato col chirurgo dell’ospedale Sant’Antonio Abate di Gallarate di eseguire contestualmente anche un intervento di sterilizzazione tubarica.
Alla donna erano state date ampie assicurazioni sul fatto che quell’intervento, finalizzato a scongiurare il rischio elevato di avere un’altra gravidanza con tre cesarei alle spalle (per le numerose aderenze pelviche che si formano e per l’assottigliamento della porzione di utero dove viene eseguito il taglio cesareo, ndr), avrebbe avuto conseguenze irreversibili.
Tre anni dopo la sterilizzazione tubarica effettuata a Gallarate - che aveva comportato la resezione di una delle tube e la legatura dell’altra -, la signora, ormai alle soglie dei 40 anni, scoprì di essere per la quarta volta in dolce attesa.
Superato l’iniziale sbigottimento per l’accaduto, la “super mamma” aveva accettato la nuova sfida e, pur con tutte le difficoltà del caso, per fortuna era riuscita a portare a termine anche questa gravidanza, grazie al quarto cesareo, stavolta eseguito dai ginecologici dell’ospedale di Busto Arsizio.
I quali procedettero anche «a una nuova legatura della tuba sinistra».
Già, perché, a causa della gravidanza indesiderata, con i medici del nosocomio gallaratese la donna aveva il dente avvelenato. A tal punto che, con l’aiuto dell’avvocato Stefania Gennaro, lei e suo marito avevano deciso di presentare domanda di risarcimento danni al Tribunale civile di Busto Arsizio per l'oggettivo «insuccesso dell’intervento di sterilizzazione tubarica cui la signora si era sottoposta il 25 gennaio 2005 presso quell'ospedale in occasione della nascita con taglio cesareo della terza figlia».
Una causa già vinta in partenza?
Al contrario. L’iter giudiziario, terminato di recente con il verdetto della Corte di Cassazione, le ha detto male su tutta la linea.
Nel senso che la domanda di risarcimento è stata respinta dai giudici di Busto Arsizio, da quelli della Corte d’Appello di Milano e, infine, dalla Suprema Corte.
Indubbiamente, a orientare il verdetto a sfavore della coppia è stata la consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice, che ha escluso responsabilità dei medici del Sant’Antonio Abate. Una consulenza tecnica basata sulle cartelle cliniche e «solo su tre fotografie», hanno lamentato i giudici della Cassazione.
A leggere le motivazioni del rigetto della domanda risarcitoria, la Cassazione aggiunge anche che «i ricorrenti avrebbero dovuto necessariamente precostituirsi una prova certa con un accertamento tecnico preventivo, senza il quale non hanno diritto a contestare la consulenza tecnica d’ufficio».
Di più, per dirla come gli Ermellini, «l'esecuzione del quarto taglio cesareo, senza la partecipazione dell'ospedale di Gallarate, ha precluso a quest'ultimo la possibilità di formarsi una prova a discarico».
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