LA SENTENZA
Uccise la moglie italiana: 16 anni
Condannato Sadigue Zahir: la donna era stata accoltellata davanti ai figli

Ammazzò la moglie con tre coltellate davanti ai loro figli: mercoledì 31 ottobre, Sadigue Zahir - trentacinquenne pakistano - è stato condannato dal gup Piera Bossi a sedici anni di reclusione per l’omicidio volontario aggravato di Simona Fiorelli e per abbandono di minore.
Perché dopo quella barbarie l’uomo si allontanò dalla casa di via Santini lasciando i bimbi - di quattro mesi e un anno - da soli con il cadavere della loro mamma. E se il più piccolo in quel momento dormiva, il più grande gli teneva gli occhioni traboccanti di lacrime puntati addosso.
Lo ammise lui stesso agli inquirenti.
Alla luce di circostanze così gravi, il giudice ha escluso le attenuanti generiche.
Il pubblico ministero Massimo De Filippo al termine della requisitoria aveva chiesto diciotto anni già comprensivi della riduzione di un terzo della pena previsto dalla scelta di rito abbreviato.
Il gup ha stabilito inoltre una provvisionale di 100mila euro per ogni figlio e di 50mila euro per i genitori di Simona Forelli e la nonna.
Gli avvocati Ennio Buffoli e Andrea Pezzangora attendono le motivazioni della sentenza, ma l’intenzione è quella di ricorrere in appello per il riconoscimento delle generiche.
Il delitto risale al 17 dicembre dell’anno scorso e fu l’apogeo di una sequenza di aggressioni verbali e fisiche che sfociavano dalla gelosi del pakistano.
Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, l’uomo sembrava in preda a una psicosi del tradimento e sottoponeva Simona a esasperanti pressioni alla ricerca di conferme dei suoi sospetti.
Pochi giorni prima dell’assassinio, l’8 dicembre, Sadigue le sferrò un pugno che le costò un occhio nero.
L’imputato vedeva corna ovunque: con il pediatra, con il postino. Tutti erano potenziali amanti della moglie.
La donna, estenuata dal suo pressing, arrivava al punto di ammettere colpe che non aveva, con la speranza che in quel modo il marito si chetasse. Proprio quel pomeriggio si confidò con un’amica: «Ma ti sembra che io faccia queste cose? Lo dico solo per fargliela piantare. Se sto ancora con lui è perché lo amo».
Intorno alle 18.30 la coppia riprese a litigare nel soggiorno, mentre i bambini si trovavano sul divano.
Le vicine di casa udirono le urla, ma non fecero in tempo a intervenire perché l’aggressione fu fulminea. L’imputato scappò subito in preda alla confusione e alla disperazione. Poco dopo chiamò l’amico e gli disse: «L’ho fatto ancora, c’è sangue».
A quel punto partì il tam tam di telefonate che raggiunse la madre di Simona. Quando entrò nell’appartamento dei coniugi trovò la donna riversa nel sangue.
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