GLI SCAVI
Dall’insubria alla Pompei dell’Eritrea
Omar Larentis: «Studierò l’antica civiltà di Adulis»
Un’antica città in cui il tempo si è fermato dopo una catastrofe naturale. Sembra la storia di Pompei ma la latitudine questa volta ci porta giù fino in Eritrea, vicino al Mar Rosso, dove un tempo sorgeva Adulis.
Si tratta di uno dei siti archeologici più importanti di tutta l’Africa e Varese sta giocando un ruolo chiave per riportare alla luce uno dei porti più ricchi di quello che fu il regno di Axum.
Oggi il dottorando dell’Università dell’Insubria Omar Larentis partirà per un viaggio di circa 7 ore che lo porterà a lavorare nel sito per i prossimi 20 giorni: l’obiettivo del giovane antropologo fisico originario di Trento sarà quello di analizzare alcuni degli scheletri ritrovati in loco per risalire a sesso, età, cause di morte e provenienza degli abitanti di Adulis.
«Si trattava di una città ricchissima, una vera porta che dall’Asia portava verso l’Europa e che quindi era caratterizzata da etnie, estrazioni sociali e origini molto diverse tra di loro - racconta Larentis -. Spero che il mio lavoro possa essere utile per capire chi abitava Adulis e quindi ricostruire la storia della città».
La straordinarietà del sito è data dalla sua sorte drammatica: durante il settimo secolo d.C. una alluvione ricoprì la città sotto un muro di fango che di fatto ha congelato la giornata di Adulis, che da allora non ha più subito variazioni. Una dinamica molto simile all’eruzione del Vesuvio a Pompei.
Larentis partirà per l’Eritrea grazie a una convenzione firmata tra il centro di ricerca in Osteoarcheologia e Paleopatologia dell’Università dell’Insubria, diretto da Ilaria Gorini e coordinato da Marta Licata, e il Centro Ricerche Deserto Orientale fondato da Angelo e Alfredo Castiglioni, noti archeologi e antropologi varesini che hanno lavorato su Adulis a partire dal 2008.
La città venne rinvenuta a fine 800 grazie a una spedizione del British Museum che scoprì la principale delle tre basiliche paleocristiane. A inizio 900 fu l’archeologo Roberto Paribeni a lavorare sul sito, che però ritornò nel dimenticatoio fino a quando i Castiglioni non decisero di continuare le ricerche undici anni fa: la loro ipotesi è che l’area di Adulis possa essere collegata alla Terra di Punt, citata nella Bibbia come il luogo dove vissero i discendenti del figlio di Noè, Cam.
Gli scavi sono coordinati da Serena Massa, archeologa dell’Università Cattolica di Milano, e vedono la cooperazione scientifica di altri atenei italiani come il Politecnico di Milano, Università Orientale di Napoli e Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana. L’operazione è coordinata dal Ministero degli Esteri mentre il Governo eritreo fornisce il supporto logistico. Attualmente solo l’1% del sito, composto da un’area di ben 40 ettari, è stato riportato alla luce.
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