L’ACCUSA
«Il finto chirurgo operava in casa»
Interventi di estetica senza titoli e con strumenti rubati: uomo di 65 anni a processo

Effettuava trattamenti di chirurgia estetica nel suo appartamento di via Buonarroti, a Giubiano, nonostante non avesse alcun titolo per farlo.
È questa l’accusa che la Procura della Repubblica contesta a Luigi Claudio, sessantacinquenne originario di Bari, sotto processo in Tribunale a Varese per esercizio abusivo della professione medica. Non solo: l’uomo deve anche rispondere dei reati di ricettazione - per aver utilizzato nel suo ambulatorio ritenuto abusivo numerosi medicinali, garze, guanti e camici rubati all’Ieo di Milano dalla sua presunta complice (un’infermiera che ha già patteggiato) - ma anche di falso per aver realizzato e utilizzato un permesso di sosta fasullo, simile a quello usato dai medici di famiglia durante le visite domiciliari.
Durante l’udienza davanti al giudice Cristina Marzagalli, uno dei finanzieri di Varese che effettuarono le indagini nel 2017 ha raccontato che durante la perquisizione a casa di Claudio fu trovato - oltre a medicinali specifici per la chirurgia estetica, come l’acido ialuronico e il botulino - un certificato di laurea dell’Università di Sarajevo.
Le Fiamme Gialle chiesero aiuto all’Ordine dei medici di Varese e l’allora presidente, il compianto dottor Roberto Stella, accertò come l’indagato non fosse iscritto, né avesse mai richiesto il riconoscimento in Italia del titolo di studio conseguito in Bosnia.
Rispondendo alle domande del pm Antonia Rombolà, il finanziere ha anche spiegato che Claudio, a loro noto come persona che lavorava nel settore immobiliare, effettuava trattamenti estetici, in particolare al viso (sette i pazienti, cinque femmine e un maschio, identificati tra il 2016 e il 2017), non solo nello studio allestito nella sua abitazione, «ma anche in uffici o in magazzini».
L’inchiesta coinvolse anche un’infermiera dell’Istituto Europeo di Oncologia, che avrebbe anche collaborato con lui negli interventi.
Dall’esame dei telefonini, gli inquirenti arrivarono alla conclusione che era proprio il sedicente medico a chiederle di prendere il materiale che gli serviva per la sua attività. Da qui l’accusa di ricettazione.
Fu sempre l’Ordine varesino a confermare alla Finanza che il permesso di sosta per medici di famiglia usato da Claudio non era stato rilasciato dall’associazione professionale, di concerto con la polizia locale, ma era stato fabbricato artigianalmente.
L’imputato, difeso dall’avvocato Fabio Vedani, sarà ascoltato nella prossima udienza, il 14 maggio.
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