LA TESTIMONIANZA
«Spretarsi o sposarsi: scelta crudele»
Sacerdote dispensato a 50 anni: «Vocazione forte, peccato non poter vivere il ministero da sposati»

«Né quando ho annunciato che avrei lasciato la Chiesa né oggi posso dire che la mia vocazione non fosse quella di essere sacerdote. Sono convinto che quella fosse la mia strada ma la Chiesa cattolica non contempla l’ipotesi di portare avanti insieme sia una famiglia sia il ministero».
Giulio (il nome è di fantasia) preferisce non rivelare la sua identità o la parrocchia di cui era a capo. La sua storia è assimilabile a quella di altri ex sacerdotiche hanno lasciato la tonaca per amore di una donna.
Ma in verità ogni situazione è particolare. C’è chi ha affrontato tutto con serenità e chi ha sofferto notevolmente. Per questo parlarne non è facile, lo si fa evitando di citare luoghi e persone per non riaccendere giudizi e pettegolezzi che sempre accompagnano storie come questa o come quella del tradatese don Samuele Biondini, 51 anni, che a Città di Castello ha annunciato la sua rinuncia al sacerdozio per amore di un’infermiera.
Scelta peraltro compiuta quasi contemporaneamente anche dal viceparroco.
«Ogni situazione è singolare - dice Giulio, oggi marito e padre -. Ho avuto la fortuna di essere accompagnato da un vescovo eccellente, che ha saputo starmi accanto in questi passaggi complicati. Nel percorso si viene seguiti da un giurista, si deve rispondere a questionari molto accurati. Ne ho letti alcuni di altri che avevano fatto una scelta simile alla mia: io non mi ci ritrovavo. Non ho vissuto il tormento di anni passati sentendo la mancanza di una famiglia. Quando ho conosciuto la donna che ora è mia moglie non l’ho avvertito come un ostacolo ma come un incentivo a svolgere bene il mio lavoro di prete».
Poi, però, di fronte all’arrivo di un figlio, la necessità di una decisione: «Il discernimento è stato accurato. Ma sono rimasto in parrocchia fino a poco prima che nascesse il nostro bambino. Dopo l’annuncio ai fedeli, ho affrontato tre diverse reazioni che si manifestano sia tra il clero sia tra la gente. C’è chi ti conosce da una vita e sa chi sei, per questo capisce certe scelte. Mia madre è tra questi: so di averla fatta stare male, ma lei ha capito benissimo e quando è nato il bambino lo ha accolto come gli altri suoi nipoti. Poi ci sono quelli che non ti parlano per lungo tempo, perché hanno paura di toccare l’argomento ma con loro i rapporti si riallacciano. Infine ci sono quelli che rifiutano la realtà, ti considerano un peccatore e basta, si dimostrano molto duri. Spesso non sono i più anziani a reagire così, ci sono novantenni che quando mi rivedono mi fanno un sacco di feste».
Un aiuto è arrivato durante tre giorni trascorsi a Trento in una comunità che supporta religiosi alle prese con passaggi difficili, perché scelgono di spretarsi o perché sono stati declassati da posti di responsabilità a incarichi minori e ne soffrono, come tutti.
«Lì ho vissuto un confronto sereno - dice Giulio -. La cosa peggiore è che a 50 anni rimani senza nulla, anche dal punto di vista lavorativo. Per un anno ricevi ancora parte dello stipendio di sacerdote, poi basta. Alla fine un lavoro l’ho trovato».
La cosa che più ha infastidito?
«Sono stato martellato da tv, anche estere, radio e giornali. Ripetevo che non avevo nulla da dire. A chi mi chiedeva davo la lettera che avevo letto in parrocchia. Nulla più».
E il rapporto con la Chiesa?
«Ho ottenuto la dispensa in tempi rapidi e ho potuto sposarmi in chiesa. Ho scritto a papa Francesco, mi ha risposto in un mese. Mi ringraziava per il servizio che avevo svolto e mi diceva che il mio compito, ora, è servire la Chiesa attraverso la famiglia. E così è, ormai da alcuni anni».
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