LA SENTENZA
Insulti e botte in famiglia: condannato
Maltrattava la moglie e il figlio neonato. Bruciò nel barbecue i pappagalli di famiglia, due anni e mezzo di reclusione
Il ritratto emerso dalla ricostruzione degli inquirenti è agghiacciante: insulti e botte per gelosia, e percosse al figlio neonato perché piangeva di notte, fino ad arrivare a singoli episodi come una secchiata d’acqua lanciata addosso e l’uccisione dei pappagallini di famiglia, poi bruciati sul barbecue.
La Procura della Repubblica era arrivata a contestare anche il reato di violenza sessuale aggravata, ma per questo i giudici hanno assolto l’imputato, considerando evidentemente quei rapporti come consenzienti. Si è conclusa con una condanna a due anni e sei mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia il processo a carico di un uomo di 41 anni, di nazionalità romena, chiamato a rispondere di fatti commessi dal settembre del 2016 fino al dicembre dell’anno successivo.
La vicenda avvenne in una zona del Verbano, dove la famigliola - l’uomo, la moglie italiana e il figlio nato nell’agosto 2016 - risiedeva all’epoca dei fatti.
Ebbene, spinto forse dalla gelosia, da settembre di tre anni fa l’uomo iniziò ad avere atteggiamenti aggressivi, tra minacce e umiliazioni. Una sera accusò la moglie di non aver riordinato la cucina, lanciandole due pompelmi e un secchio di acqua gelata, arrivando a bagnare anche il bimbo (nato un mese prima) che la donna teneva in braccio. In un’altra occasione, dopo averla accusata di tradirlo, uccise la coppia di pappagalli e li bruciò.
Tra gli episodi contestati, ce n’è un altro avvenuto a settembre del 2017: mentre la donna stava facendo il bagno al bambino, lui l’avrebbe ricoperta di insulti, accusandola di essere una pessima madre, per poi rompere un vetro con un pugno. E ancora, quando il piccolo si svegliava di notte e piangeva, lui lo avrebbe percosso sulle natiche e sul volto.
Un crescendo che - sempre secondo quanto contestato dalla Procura - avrebbe spinto la donna ad andarsene di casa, insieme al bimbo, e a chiedere la separazione. Neppure la scelta di andarsene avrebbe convinto il marito a cambiare atteggiamento, tanto che si presentava sotto casa della madre di lei oppure faceva raffiche di telefonate, arrivando anche a venti in un giorno solo.
Dopo un tentativo di riavvicinamento, con la donna tornata a vivere nella casa di famiglia per qualche giorno, la situazione sarebbe esplosa di nuovo, fino ad arrivare a uno degli episodi più gravi, avvenuto il 17 dicembre del 2017: l’uomo ebbe il permesso di trascorrere un pomeriggio con il figlio, ma non volle riconsegnarlo e si barricò in casa minacciando di ucciderlo e di suicidarsi.
Sul posto giunsero i carabinieri e il quarantenne fu convinto a desistere. La giovane presentò denuncia, attivando quella rete virtuosa che sostiene e protegge le donne in queste situazioni, tra centro antiviolenza, casa rifugio, comunità e sportello dedicato nel Tribunale di Varese.
Si è arrivati così alla sentenza di ieri. Il Tribunale in composizione collegiale, presieduto da Orazio Muscato, ha stabilito la condanna a due anni e sei mesi per maltrattamenti in famiglia, disponendo l’assoluzione per la violenza sessuale.
I giudici hanno anche disposto una provvisionale di 10mila euro nei confronti della donna, assistita dall’avvocato Elisabetta Brusa.
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