CRISI DELLE VOCAZIONI
Varese, sempre meno preti
Bilancio e previsioni tracciati da Cattolica e Seminario di Venegono. Don Martino Mortola: «Servono cambiamenti di mentalità e riforme strutturali»
«Ora mi annoio più di allora, neanche un prete per chiacchierar», cantava Adriano Celentano più di mezzo secolo fa, quando ogni parrocchia aveva il proprio parroco e spesso anche un coadiutore. Una sorta di preveggenza? Il tradizionale incontro milanese di pochi giorni fa dei sacerdoti con l’arcivescovo Mario Delpini ha svelato proprio che di «preti per chiacchierar» (e non solo, ovviamente) ce ne sono sempre meno.
CALO DI FEDELI E DI NATALITÀ
Un lavoro svolto congiuntamente da docenti del seminario e dell’Università Cattolica di Milano ha fornito dati anche più sorprendenti del previsto che possiamo riassumere così: secondo le proiezioni (che ovviamente non possono tener conto di eventuali decessi o rinunce all’abito) entro il 2040 i preti giovani (cioè fra 30 e 40 anni) saranno una rarità, 191 in tutta la diocesi ambrosiana pari all’11 per cento, 12 nella zona pastorale II che raggruppa gli undici decanati del Varesotto, pari all’8 per cento e 6 nel decanato di Varese, cioè l’11,5 del totale.
Eppure, è stato detto all’incontro in uno slancio di ottimismo, i preti «sono e saranno ancora tanti» in ragione del continuo calo di fedeli e della stessa natalità (il tasso di fecondità del Varesotto, pur se leggermente superiore a quello italiano, è passato da 1,5 del 2011 a 1,3 del 2021), anche se «non più sufficienti per fare le stesse cose» e in posizione critica per la scarsità di preti giovani.
SITUAZIONE GRAVE, MA NON SERIA
In conclusione, per dirla con Ennio Flaiano, la situazione è grave, ma non è seria? «Mettiamola così: il calo del numero dei preti e il loro progressivo invecchiamento, pari a quello dei fedeli, chiede cambiamenti di mentalità e riforme strutturali», risponde don Martino Mortola, 31 anni, docente di Ecclesiologia e Sacramento dell’Ordine nel seminario “milanese” di Venegono Inferiore, in aiuto alla parrocchia Kolbe del capoluogo e relatore all’incontro con l’arcivescovo.
LAVORARE INSIEME
Dalle parole ai fatti: in concreto cosa vuol dire? «Anzitutto bisogna riconoscere che in passato i preti non sono stati educati per lavorare insieme. Sappiamo però che sei preti che remano nella stessa direzione possono far muovere la nave che è la Chiesa molto meglio di dodici preti che remano in modo disordinato. Non so se è chiaro: in una città piccola come Varese sarà sempre più importante l’unità di intenti tra i pochi preti che saranno stabilmente presenti».
USARE LE CASE VUOTE
In altre parole e per rimanere in argomento, basta guerra fra campanili. La vedo dura, ma in ogni caso basterà? «Certo che no. Una delle urgenze maggiori, ad esempio, è l’impiego in senso evangelico delle strutture ecclesiali sottoutilizzate. Papa Francesco ha richiamato più volte gli istituti religiosi ad usare le case vuote per finalità missionarie e caritative, ma vedere ancora tanti immobili della Chiesa chiusi e - è cronaca di questi giorni - gli studenti in tenda davanti alle università mette tristezza. Per non parlare di altre emergenze abitative non meno gravi che toccano i poveri in generale e le famiglie numerose. Evidentemente questo lavoro di riconversione non può gravare sui preti già sovraccarichi di impegni, ma dev’essere svolto insieme a professionisti del settore».
IMPORTANZA DEI LAICI
Anche perché si tratta di preti sempre più anziani, incaricati su più parrocchie e senza il dono dell’ubiquità. Dunque? «Dunque, poiché i preti non potranno più essere dappertutto, un compito urgente è quello di formare quei laici che garantiranno la vitalità delle comunità cristiane dove non abiterà più il prete. Si tratterà in particolare di formare donne consacrate e laici in modo tale che possano guidare la preghiera della comunità quando non sarà possibile celebrare la messa a causa della mancanza del prete».
TEAM PASTORALI
Davanti al cardinale, don Martino ha citato come possibile modello la situazione della diocesi di Bolzano-Bressanone, alle prese con un calo di vocazioni simile a quella milanese, dove in mancanza del parroco sono stati istituiti un team pastorale di 3-5 persone con compiti simili a quelli dei diaconi (annuncio della Parola, carità, amministrazione, giovani, famiglie), le unità pastorali tra parrocchie confinanti, momenti di preghiera comunitaria e, in prospettiva, il superamento delle comunità pastorali con l’obiettivo di riunirle in una sola parrocchia. Se non una rivoluzione, quasi. Allora davvero sarà la fine dei campanili e non solo in senso ecclesiastico.
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