IL CASO
Venegono, stupri in treno: spuntano i nomi
Nelle motivazioni della sentenza che ha assolto i due imputati, emergono dettagli sui veri responsabili

Anthony Fusi Mantegazza non è stato riconosciuto in modo attendibile da una delle due vittime (la ventiduenne stuprata sul treno) e non è stato riconosciuto del tutto dall’altra vittima (la ventiduenne aggredita sessualmente nella stazione di Venegono Inferiore) e anche dai testimoni. Mentre Hamza Elayar non è stato riconosciuto da nessuno. Inoltre nessuno dei due ha indossato il colbacco al centro del caso, gli accertamenti tecnici sugli spostamenti di Fusi Mantegazza lo posizionano in posti diversi rispetto ai luoghi degli stupri nelle stesse fasce orarie, e infine l’analisi delle riprese video alla stazione di Tradate permette di dire che non c’è corrispondenza tra chi sale sul treno per Venegono e i due imputati.
Lo dicono le motivazioni depositate da poco della sentenza dello scorso 7 marzo del Tribunale di Varese (presidente e giudice estensore Cesare Tacconi, a latere Rossana Basile e Marcello Buffa) che ha assolto, per le due violenze sessuali ferroviarie del 3 dicembre 2021, appunto il ventitreenne Anthony Fusi Mantegazza, difeso dall’avvocato Monica Andreetti, e il ventottenne Hamza Elayar, nato in Marocco e difeso dagli avvocati Fabio Bascialla e Marino Puntieri.
Nelle motivazioni anche indicazioni su chi potrebbe davvero aver violentato le due ragazze, sulla base degli interrogatori nella fase delle indagini e in aula: altri due soggetti originari del nord Africa, il cui nome è fornito da Elayar, che avrebbero preso il treno prima di lui e di un altro suo amico (non Fusi Mantegazza) e che avrebbero avuto una stampella e una bicicletta (come riferito dalle vittime). Quello della stampella avrebbe anche chiamato Elayar in seguito per raccontargli che cosa aveva fatto l’altro, «ossia aveva cercato di strangolare una ragazza e non era riuscito a violentarla», per poi infastidire «una ragazza marocchina», una volta che entrambi erano scesi alla stazione di Venegono.
Il riconoscimento di Fusi Mantegazza da parte della vittima del treno, tenuto conto del fatto che Fusi Mantegazza sul treno non c’era (lo dice la cronologia degli spostamenti del suo cellulare), è ritenuto dal Tribunale inattendibile perché «la descrizione del ragazzo con la bicicletta, quanto ai vestiti che indossava, se confrontata con le immagini delle telecamere, fa dubitare della bontà del riconoscimento». E questo perché la vittima del treno parla di un aggressore vestito di bianco, «come un gelataio», mentre i veri stupratori ripresi dalle telecamere in stazione non erano affatto vestiti così.
Una spiegazione, infine, anche per le diverse dichiarazioni di Fusi Mantegazza rispetto alla sua presenza sul treno - ha detto «c’ero anch’io» nel corso di interrogatori del 5 e del 6 dicembre 2021, per poi negare in aula il 23 gennaio 2023 - sulla base di una consulenza neuropsicologica e psicodiagnostica sul ragazzo effettuata da una specialista e discussa durante il processo, sempre il 23 gennaio. Fusi Mantegazza avrebbe «una funzionalità cognitiva non assimilabile alla norma e un ritardo mentale già diagnosticato in precedenza». Inizialmente si sarebbe quindi autoaccusato perché «doveva trovare una via di fuga in quanto inserito in una situazione altamente stressante». Avrebbe insomma detto «ciò che l’interlocutore voleva sentirsi dire, non per avere vantaggi secondari ma per chiudere la situazione».
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