IL PERSONAGGIO
Voglio un'Insubria col bollino blu
Il nuovo rettore Alberto Coen Porisini si racconta: Non sono il delfino di Renzo Dionigi

Quando il professor Delfino Barbieri cominciò a dispensare nozioni di anatomia patologica dentro un'aula improvvisata nelle cantine del vecchio ospedale di Varese, Alberto Coen Porisini aveva 12 anni e tornava in classe dopo le vacanze di Natale che alla Scuola Europea duravano di più. Era il 15 gennaio del 1973.
E siccome quella lezione è considerata la prima pietra dell'università dell'Insubria, pare opportuno rammentarla a colui che ne è appena diventato rettore. Bei ricordi: davanti all'illustre clinico c'erano venticinque studenti del secondo triennio della facoltà di Medicina di Pavia che aveva "gemmato" corsi pareggiati trasferendoli nella città-giardino. Cominciava, quel dì, un'avventura accademica sfociata il 14 luglio del 1998, giorno e mese della presa della Bastiglia, nella nascita di un ateneo autonomo con la targa doppia: Varese e Como. E tu guarda che cosa sta accadendo: che la due province si fondono in una sola, quasi l'università condivisa abbia rappresentato un'anticipazione.
Nato a Torino, concepito a Londra, figlio di funzionari dell'Euratom che dopo aver girovagato approdarono all'allora Euratom di Ispra, Alberto Coen Porisini è stato eletto a fine settembre e assumerà i pieno poteri il primo novembre.
Ci spiega i due cognomi?
"Certo. La famiglia romagnola della mamma, fatta di sole femmine, teneva a che la stirpe non fosse cancellata. E così mi sono ritrovato più lungo all'anagrafe. Sì, Coen, il cognome paterno, è di origini ebraiche, ma io sono di religione cattolica e mi sento varesino al cento per cento. Amici tutti di qui, Scuola Europea dalle elementari al liceo, poi mi sono laureato in ingegneria elettronica a Milano".
Incontriamo il rettore nel quartier generale dei dipartimenti di Scienze in via Dunant a Bizzozero. Lo aspetta un altro ufficio in cima a una solenne scalinata di marmo nell'ex collegio di suore dedicato a Sant'Ambrogio, ma candidandosi a succedere a Renzo Dionigi, Coen Porisini ha messo per iscritto che un rettorato non può essere altrove rispetto a tutta l'università. Lui, se potesse, resterebbe dov'è e dove sogna che un giorno ci sia un campus modello americano.
Professore, lei come approdò all'Insubria?
"Per caso. Avevo vinto il concorso di associato e stavo a Lecce alla facoltà di ingegneria. Seppi che a Varese nasceva Informatica, mi presentai. Il professor Lanzarone, che non c'è più e al quale ho voluto bene, mi accolse a braccia aperte. "Pensi che possa fare tutto da solo? Vieni", mi disse. Aveva in mente una facoltà che mescolasse insegnamenti informatici e umanistici, esperti di computer e filosofi. La sua intuizione si è tradotta in un modello con l'avvio dei corsi di Scienze della comunicazione".
Potrebbe essere il seme dal quale germoglierà prima o poi una vera facoltà umanistica?
"Penso di no, purtroppo, con l'aria che tira. La riforma impone l'arruolamento di almeno 35 docenti per un nuovo indirizzo di studi. Inutile fantasticare".
Hanno detto che lei rappresentava la continuità nella corsa alla prima poltrona dell'ateneo. Corretto?
"Sì, ma per esclusione, avendo l'altro candidato più votato dopo di me il sostegno di coloro che volevano la rottura col passato. In realtà non mi considero il delfino del professor Dionigi e lo dico con la massima deferenza. Mi sento autonomo, ragiono con la mia testa, mi piace il gioco di squadra e ho senso dell'istituzione. Amo il dibattito interno, non le baruffe che fanno volare gli stracci in pubblico".
Rettore di un ateneo diviso, in alcuni dipartimenti di Medicina frantumato...
"Quando c'è di mezzo un'elezione accade sempre che le forze in campo si scontrino e si verifichino spaccature. Noi eravamo tre concorrenti, al Politecnico di Milano sette, altrettanti alla Statale. Qui ha fatto impressione il match perché per la prima volta si eleggeva un rettore che nei casi precedenti era stato solo nominato".
I pregi e i difetti dell'era Dionigi...
"Si deve a lui il completamwento di un'opera rimasta in bilico un quarto di secolo. Ha ben coordinato le iniziative a Varese, a Como, a Roma. È un uomo che entra nella storia. Questi i meriti indiscutibili, altro non dico".
Sta Federico imperatore in Como, recita il Carducci. Anche Alberto rettore?
"Tutti mi chiedono se cambierò sede quando Varese non sarà più capoluogo di provincia, cosa sulla quale resto scettico. Ma guardate che a livello universitario non si registrano le rivalità di campanile che stanno infuocando il dibattito non solo politico. Gli enti locali conferiscono spazi e risorse all'ateneo: le due province, divise o unite, ma soprattutto la regione. Credo che cambierà poco".
Dove starà allora il rettore?
"Io mi auguro, come sapete, in un luogo diverso dall'ex collegio Sant'Ambrogio. Da lì ce ne dobbiamo andare: troppi costi per ristrutturare l'edificio. È antistorico che tutto ormai sia sparso tra via Dunant e via Monte Generoso, dentro e fuori dell'ex ospedale psichiatrico a Bizzozero, tranne gli uffici amministrativi. Paghiamo affitti salati anche per alcuni dipartimenti in centro a Varese. Abbiamo fondi a disposizione per l'edilizia e c'è il progetto, credo approvato dal Comune, di un secondo immobile nei pressi del collegio prossimo all'inaugurazione. Concentriamoci dunque sulla logica del mutuo, come fanno le giovani coppie, anziché spendere soldi a vuoto".
Che università ha in mente il rettore Coen Porisini?
"Un'università col bollino blu della qualità certificata, requisito che ora è severamente richiesto, pena la chiusura di istituti e sedi. Questa è la sfida della sopravvivenza, non quella dipinta nel corso della campagna elettorale per spargere panico. Sarà un buon rettore se saprò coinvolgere tutti, studenti, docenti, personale nella gara a dimostrare che siamo più bravi di altri".
Il rettore Dionigi s'è tolto un sassolino dalla scarpa, prima di lasciare. In un discorso pubblico ha alluso alla laurea honoris causa in Scienze della comunicazione che due anni fa qualcuno ipotizzò di conferire a Umberto Bossi...
"A ragione di quelle voci fatte circolare sui media, l'università ebbe un grave danno d'immagine. Immeritato. Quel riconoscimento lo hanno avuto all'Insubria Navarro Valls, Uto Ughi ed Evandro Agazzi, personaggi insigni, non uomini della politica che, al di là di questo caso specifico, in vita non si premiano mai, per decenza e rispetto. Era giusto sottolineare che quelle voci mai ebbero il sigillo di decisioni collegiali".
L'Italia ha la faccia per terra, citando il titolo di una novella di Piero Chiara. La salveranno i professori?
"Io credo di no, senza nulla togliere alla serietà, alla sobrietà e ovviamente alla sapienza di Mario Monti. Bisogna augurarsi un ritorno della politica opportunamente bonificata. Qualcuno ha usato l'immagine della betoniera nella quale fare a pezzi tutto ciò che sta seminando vergogna e rassegnazione. Eccola l'altra vera sfida della sopravvivenza: se salta il Paese, noi facciamo la stessa fine".
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