L’OMICIDIO
Delitto di Cairate, la verità è nei telefonini
La morte di Andrea Bossi: chiamate e messaggi tra Douglas Carolo e Michele Caglioni al vaglio degli inquirenti
Saranno i telefoni a stabilire chi dei due ragazzi menta: da una parte c’è Douglas Carolo, che al momento sembra prendere le distanze dall’omicidio di Andrea Bossi. Lo ha fatto dichiarandosi innocente con gli avvocati Vincenzo Sparaco e Giammatteo Ronna, non ha ritrattato l’estraneità (né però l’ha confermata) il giorno dell’interrogatorio, preferendo avvalersi della facoltà di non rispondere. E i suoi genitori, a Pomeriggio 5, hanno avallato la linea per ora solo abbozzata. Dall’altra parte c’è Michele Caglioni; assistito dall’avvocato Luigi Ferruccio Servi, al giudice Anna Giorgetti ha ammesso di aver accompagnato Douglas in via Mascheroni precisando però di essere rimasto in strada ad attenderlo. Solo dopo la telefonata dell’amico, a delitto commesso, sarebbe salito nell’appartamento. Contatti, messaggi e tabulati serviranno da spartiacque per capire davvero come è morto il 26enne fagnanese.
NON APRIRE LA PORTA
Douglas, intorno alle 23.45, avrebbe chiamato Michele dicendogli di salire ma di non aprire la porta dell’alloggio di Andrea. Ma a quanto pare Michele l’avrebbe trovata già dischiusa e avrebbe fatto un passo oltre lo zerbino. Douglas, minaccioso, lo avrebbe intimidito: «Ora che hai visto tutto mi aiuti e se parli faccio fuori anche te». A quel punto i due giovani, che avevano raggiunto Cairate in monopattino, avrebbero raccolto gli oggetti contaminati dal loro dna, il coltello da cucina usato per lo sgozzamento, le carte di credito, il cellulare e i gioielli che la vittima indossava per poi disfarsi di tutto, sperando di non lasciare tracce e nel contempo di guadagnarci qualcosa.
CROCE SUL CUORE
Douglas Carolo e Michele Caglioni sono riusciti a spogliare il corpo di tutti i monili tranne uno. Il crocifisso che pendeva dalla catena d’oro che Andrea portava al collo. Girare il cadavere, prono sul pavimento, a quanto pare sarebbe stata una manovra disagevole. Era troppo pesante, c’era troppo sangue, Ares, il pitbull, abbaiava e guaiva chiuso fuori sul balcone. Non c’era più tempo, il rischio di attirare l’attenzione del vicinato era ormai elevatissimo. Così gli hanno solo sfilato la collana, poi hanno chiuso l’appartamento a chiave e sono scappati. Dodici ore più tardi, quando il padre Tino ha chiamato i soccorsi, i carabinieri hanno rinvenuto quella croce in oro massiccio quasi compenetrata nel petto del ventiseienne. Questo almeno è quanto accertato finora dagli investigatori coordinati dal pubblico ministero Francesca Parola. Ma la storia di questo delitto è ancora in divenire.
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