VIOLENZA
A testate sul pavimento
Sfasciò il Pronto soccorso, ora arrestato per maltrattamenti ai danni della compagna. Lei in ospedale, lui in carcere
Aveva da poco ricevuto la richiesta di rinvio a giudizio per la devastazione del Pronto soccorso e le botte alla polizia.
Da Giovedì sera, 29 agosto, Giovanni Di Martino è in carcere con l’accusa di maltrattamenti in famiglia e lesioni. Lo hanno arrestato i carabinieri su ordine del pubblico ministero Flavia Salvatore, nei prossimi giorni il trentatreenne difeso dall’avvocato Corrado Viazzo verrà interrogato dal gip Luisa Bovitutti.
Di Martino a quanto pare da tempo picchiava la compagna e lo faceva anche davanti ai loro tre figli, costretti quindi ad assistere a scene di violenza traumatizzanti per la psiche di un minore. Schiaffi, calci, spintoni contro il muro: hanno raccolto episodi allarmanti gli inquirenti ascoltando la testimonianza della vittima.
Spesso e senza che avesse un minimo di pretesto, afferrava la donna per i capelli e la sballottava in giro per la casa. In più di un’occasione le avrebbe sbattuto la testa contro il muro, pochi giorni prima di finire in cella la testa gliela avrebbe percossa con furia terribile contro il pavimento, dopo aver abbattuto la convivente a suon di mazzate.
Settimana scorsa, al culmine dell’ennesimo pestaggio, fu necessario ricoverare la giovane in ospedale. L’auspicio generale era che Di Martino si rendesse conto della gravità delle sue azioni, vedendola ricoverata in condizioni di profonda sofferenza. Ma dopo le dimissioni la tregua è durata quarantotto ore, dopo di che l’indagato ha ricominciato a picchiare.
I vicini di casa questa volta si sono spaventati davvero. Le urla disperate della donna, le invocazioni d’aiuto, i pianti dei bambini li hanno convinti a intervenire: sono stati loro a chiamare il 112, sennò forse la vittima mai si sarebbe ribellata mai.
Ai militari lo ha ammesso: «Non ho mai denunciato niente perché avevo paura di possibili ritorsioni e di reazioni peggiori». Ma ormai coprire il padre dei suoi figli, perdonandogli l’ennesima aggressione, non era più possibile. Portata ancora al Sant’Antonio Abate, i medici le hanno riscontrato una lesione timpanica e traumi contusivi multipli e poi l’hanno rimandata a casa con quindici giorni di prognosi.
Finché Giovanni Di Martino resterà in carcere, rischi per lei e per i tre minori non ce ne saranno più. Ma nel frattempo si attiverà la macchina del sostegno alle vittime della violenza di genere, con ogni probabilità la cassanese e i piccoli verranno collocati in una comunità protetta.
All’avvocato Viazzo toccherà invece pensare a un percorso rieducativo e di riabilitazione del suo assistito, persona conosciuta alle forze dell’ordine non certo dal 20 gennaio, quando all’ospedale di Gallarate, insieme al fratello e alla mamma, sfasciò il pronto soccorso e pestò gli agenti del commissariato e un’infermiera.
Quello però fu solo l’atto finale di un dramma assoluto: il fratello Catello, malato psichico in cura al Cps, si gettò dal quinto piano della struttura dopo ore di attesa per una visita a quanto pare necessaria, visto l’esito.
Davanti al corpo senza vita del trentenne, nei famigliari montò una rabbia incontenibile. «Avete ammazzato mio figlio», iniziò a gridare la madre. E Giovanni aggiunse un cospicuo corollario di minacce: «Prendo una mitragliatrice e vi faccio tutti fuori. Qualcuno deve pagare vado in galera per una causa giusta e mi porto la testa di questi bastardi». Possibile che quel lutto abbia inciso su tutti gli aspetti della sua esistenza?
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