L’APPELLO
«Siamo abbandonati»
Lettera dei detenuti tossicodipendenti al governo
Un grido disperato. Mentre il mondo è concentrato sul Coronavirus, i detenuti del carcere di Busto Arsizio lanciano l’allarme per la situazione di quanti vivono una tossicodipendenza e non si sentono adeguatamente supportati.
Con una lettera, inviata al direttore di Prealpina Maurizio Lucchi, i reclusi si vogliono rivolgere al ministro della Giustizia, al ministro della Salute, a Regione Lombardia, al garante statale, a quello regionale Carlo Lio e a quello comunale Matteo Tosi.
«Nel sovraffollato carcere che accoglie 420 detenuti, la metà delle persone è tossicodipendente. Ci sono soltanto due assistenti sociali, che seguono tutti venendo qui 2/3 volte alla settimana - recita il testo - Si ritrovano un ufficio pieno di richieste per un colloquio: soltanto alcuni vengono chiamati, dopo mesi e mesi. Alcuni hanno la disponibilità di una comunità ma così si ritarda la preparazione del programma terapeutico. E i ritardi fanno perdere le disponibilità».
Citando gli ordinamenti, la lettera continua: «La troppa lentezza del Sert impedisce di andare in comunità o di uscire sul territorio. Si scaricano colpe inventando motivi. Noi chiediamo di essere presi in considerazione. Se non è il Sert a darti aiuto per primo, come fai poi a reinserirti nella società? Un intervento è indispensabile, affiancando le giuste competenze a chi è presente in carcere».
Le firme sono tante, una quarantina. Qualcuna elaborata, qualcuna tracciata con la fatica di chi scrive poco. Qualcuna ha una calligrafia infantile. Altre sono di stranieri, provenienti dal mondo arabo.
Il direttore del carcere, Orazio Sorrentini, si trova a dare risposte su un campo non di sua diretta competenza: «L’organizzazione che cura la certificazione dello status di tossicodipendente dipende dal ministero della Salute. L’istituto penitenziario ospita gli assistenti sociali ma non è competente a rispondere. Posso solo dire che abbiamo difficoltà anche per gli assistenti sociali che dipendono dalla Giustizia, pure in carenza numerica. E poi non sempre il detenuto tossicodipendente dichiara il suo stato, quindi magari è sconosciuto. Il Sert ha competenza territoriale, tutto è complicato».
Gli educatori dell’area trattamentale si occupano dei benefici in generale; ci sono determinati benefici specifici per chi affronta qualche dipendenza. «L’affidamento in prova a una comunità terapeutica - spiega Sorrentini - richiede la certificazione dello status e la volontà del soggetto di sottoporsi a un programma di recupero, in quel caso la legislazione è particolarmente attenta. L’accesso a quel beneficio spetta a chi ha scontato la parte di pena più lunga, si vogliono incentivare recupero e disintossicazione».
Sul fronte educatori, intanto, si registra un miglioramento: «Ora abbiamo tre persone in pianta abbastanza stabile. A settembre è rientrata la persona andata prima in maternità - spiega Sorrentini - Da Opera è stata assegnata in modo fisso una seconda persona e una terza è attiva anche se non al cento per cento. Dovremmo avere almeno quattro educatori, ne abbiamo meno di tre. Siamo in sovraffollamento e sotto organico: speriamo che le cose continuino a migliorare per dare risposte a ogni necessità»
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