IL COMMIATO
Bambi, per chi suona la Martinella?
Bambi Lazzati s’è spenta oggi – mercoledì 3 dicembre – a 77 anni, quasi metà dei quali spesi per dare voce e consistenza al Premio Chiara.
Per una volta, più delle parole, parlano i vuoti che lascia. L’assenza annunciata all’ultima finale del Chiara, aveva già la forma di un presagio. In sala, però, si era mossa un’altra presenza: la sua. Invisibile eppure viva, nella standing ovation che ha attraversato la Villa Napoleonica come una risacca, più volte, come se il pubblico sapesse di star salutando qualcosa di irripetibile.
La consegna della Martinella del Broletto – la massima onorificenza civica varesina – a Mariafederica Bianchi Lazzati non è stata un atto formale. È stata la restituzione di un debito.
Dal 1989 responsabile dell’Ufficio stampa del Premio Chiara, dal 2003 sua direttrice organizzativa, Bambi ha tenuto accesa la memoria di Piero Chiara quando sarebbe stato più facile lasciarla scivolare nel folclore. Ha dato al Premio un respiro nazionale e più di recente internazionale. Ha trasformato un riconoscimento letterario in un presidio culturale, costruito a mano, anno dopo anno, con una tenacia che non aveva bisogno di proclami.
Domenica 19 ottobre, il sindaco Davide Galimberti l’ha ricordata parlando alla famiglia – il marito Mariano, i figli Valentina e Filippo, cui vanno il cordoglio e l’abbraccio affettuoso del nostro giornale – definendola «una donna che ha dato prestigio al territorio». Non è stata una frase di circostanza ma la fotografia di trent’anni di lavoro silenzioso, continuo, ostinato. Il resto della cerimonia ha avuto una risonanza quasi simbolica. La Napoli ferita e resistente raccontata da Andrej Longo, vincitore del Chiara 2025, era apparsa come un controcanto naturale alla voce femminile che in questa stagione chiede spazio, verità, protezione senza violenza. Longo lo aveva rimarcato con chiarezza: «La Camorra è ciò che resta quando mancano uomini capaci di difendere senza distruggere». Parole che sembravano toccare, indirettamente, anche il vuoto lasciato da Bambi: una donna che ha custodito, più che diretto, un confine culturale. Anche Piero Colaprico e Gabriele Pedullà, gli altri due finalisti, avevano portato in scena città, passioni e fragilità che riconducono sempre lì: alla necessità di uno sguardo femminile che illumini le zone cieche del maschile. Bambi quel ruolo lo esercitava senza teoria: lo incarnava.
Resta adesso il futuro del Premio Chiara, già da tempo appeso a risorse in calo e a un impegno organizzativo che pesa sempre sulle stesse spalle. Bambi non aveva nascosto le difficoltà: sponsor ridotti, contributi in flessione, la prospettiva concreta di dover ridurre persino la giuria dei lettori. Aveva però una convinzione: le cose finiscono solo quando si smette di crederci. Lei non ha mai smesso.
Oggi il rischio è evidente: senza una presa in carico forte da parte delle istituzioni, il Chiara rischia lentamente di spegnersi. Non per mancanza di talento – quello non è mai mancato – ma per l’idiosincrasia, tutta varesina, di riconoscere il valore di ciò che si ha. Il Comune di Varese sta già provvedendo a fare la propria parte, grazie alla sensibilità dell’assessore Enzo Laforgia ma ci sono anche altri fedelissimi già operativi da mesi. A cominciare dal professor Salvatore Consolo, già preside del liceo classico Cairoli, oltre a figure di assoluta rilevanza culturale della provincia quali Emma Zanella (direttrice del Maga) e di Giulio Sangiorgio (direttore del Baff), coi quali Bambi ha intrecciato una trama di relazioni che è una visione: la rete culturale varesina.
Bambi Lazzati non c’è più. Resta la sua opera: un Premio che ha attraversato quarant’anni senza perdere dignità né senso. Se il Chiara sopravviverà, sarà per fedeltà a ciò che lei ha dimostrato: che la cultura è un bene fragile, e che ogni tanto serve qualcuno che la difenda senza se né ma. Oggi, quel qualcuno ha un esempio da seguire. E un compito che è un obbligo: non lasciarlo cadere.
Nel video in apertura l’ultima intervista di Bambi Lazzati alla Prealpina raccolta da Laura Defendi.
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