IL PROVVEDIMENTO
Confiscata a Toni Jovanocic la casa acquistata con le truffe
Derubava i super-ricchi: perde appartamento a Gallarate da 240mila euro
«Questo è il mio lavoro, è il mio business. Ho bisogno di questo lavoro per mangiare, se non lo faccio non ho i soldi per mangiare, è molto semplice», diceva in un’intercettazione Toni Jovanovic a novembre del 2015. La sua specialità era il rip deal, una truffa che colpiva solo ricconi, magnati dei diamanti, del petrolio, oligarchi russi e uomini d’affari mediorientali. Proponeva, insieme al suo clan di origine rom, cambi di valuta in nero, ma a fronte di denaro vero rifilava banconote fac simile. Nei giorni scorsi a sezione autonoma delle misure preventive del tribunale di Milano ha confiscato al trentatreenne un appartamento a Gallarate, in largo Buffoni, alla Torre di ghiaccio, del valore di 240mila euro. Inoltre ha dichiarato il difetto di buona fede dell’istituto di credito in relazione al mutuo ipotecario concesso alla convivente, quindi la banca, un po’ leggera nell’accendere il finanziamento, ha perso l’immobile. Il collegio presieduto dal giudice Paola Pendino ha accolto integralmente le richieste del pubblico ministero Nadia Calcaterra.
LA DINASTIA
Ed è solo l’ennesimo provvedimento applicato alla dinastia Jovanovic negli ultimi anni. A fine 2021 gli inquirenti depauperarono anche i fondi di Goiko Jovanovic per un ammontare di 1milione 200mila euro. Dovette così rinunciare a una villa nel Lodigiano del valore di 300mila euro, ad appartamenti e terreni a Champorcher (Val d’Aosta), a Monza, a Corno Giovine, a una Mercedes Classe A e poi a un dipinto di un artista di nicchia, Maximilian Hartman, a un orologio Patek Philippe Sky Moon e a un Audemars Piguet: a parere degli inquirenti era tutto provento dei rip deal di famiglia.
«RUOLO DI PRIMISSIMO PIANO»
Tornando a Toni, il tribunale di Milano lo ritiene «inserito in modo organico e con ruolo di primissimo piano». Le sofisticate truffe sono la sua professione, svolta «con abitualità», per questo è da considerarsi «socialmente pericoloso» e comunque lo era nel momento in cui entrò in possesso dell’appartamento di largo Buffoni. E per quanto riguarda la banca che concesse il mutuo nel 2020, a parere del collegio non avrebbe rispettato le regole di diligenza che governano il settore, «tenuto conto dell’anomala assenza nella pratica del finanziamento dei dati reddituali e del recepimento acritico delle dichiarazioni della compagna». La quale presentò un contratto di lavoro come lavapiatti, comunque scaduto a dicembre 2019. La donna nel 2020 «non risultava svolgere attività o avere fonte di reddito di natura lecita», ciò induce i giudici a pensare «che la condotta della banca non solo non abbia rispettato il canone generico di buona gestione bancaria ma anche quello della buona fede richiesta in materia, declinata nella forma dell’affidamento incolpevole». Così addio alle ipoteche sull’appartamento.
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