IL PROCESSO
Gazzada, la vittima aveva mentito: assolto dalle violenze
Il Tribunale: atti da inviare in Procura per valutare il reato di calunnia

È dalla trasmissione degli atti in Procura che si apre un nuovo capitolo di una vicenda giudiziaria durata due anni e arrivata ieri a un verdetto che non lascia spazio a dubbi: assoluzione perché il fatto non sussiste. Il Tribunale di Varese ha prosciolto infatti un cinquantenne tunisino, difeso dall’avvocato Veronica Ligorio, dall’accusa di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali. Violenze, secondo l’originaria denuncia, che sarebbero state aggravate dal fatto di essere state commesse davanti ai due figli minori della coppia e a un nipote, anche lui minorenne.
A far cadere l’impianto accusatorio è stata però la stessa presunta vittima: la moglie dell’imputato, che in un’udienza dello scorso anno, collegata in videoconferenza dalla Tunisia, aveva ritrattato tutto. «Non è vero che mio marito mi maltrattava. Ho detto delle bugie, l’ho fatto solo perché avevo bisogno del passaporto per tornare nel mio Paese», aveva dichiarato la donna. Parole pesanti, che non solo hanno aperto la strada all’assoluzione, ma hanno spinto il collegio presieduto dal giudice Andrea Crema a disporre la trasmissione degli atti alla Procura.
Sarà ora quell’ufficio a decidere se aprire un fascicolo per calunnia, reato che l’articolo 368 del Codice penale definisce come l’accusa consapevolmente falsa di un reato a carico di un innocente.
«PESO INUTILE SULLA GIUSTIZIA»
Ieri anche il pubblico ministero Marialina Contaldo, al termine della discussione, ha chiesto l’assoluzione, alla luce delle dichiarazioni della donna. E l’avvocato Ligorio non nasconde la sua soddisfazione: «Quelle accuse false non solo hanno danneggiato il mio assistito, ma hanno anche pesato inutilmente sull’amministrazione della giustizia. Il procedimento è durato due anni, con un impegno di risorse che si sarebbe potuto evitare».
Secondo la denuncia iniziale, presentata ai carabinieri di Azzate nel luglio del 2023, l’uomo avrebbe impedito alla moglie di comunicare con l’esterno e l’avrebbe picchiata anche durante la gravidanza. La donna fu immediatamente trasferita con i figli in una struttura protetta, da cui successivamente fuggì, ottenuti i documenti per l’espatrio, per tornare nel suo Paese d’origine. E lì è rimasta, senza nemmeno completare le pratiche di separazione.
LA TESTIMONIANZA DEL NIPOTE
Nel corso del processo, sono state ascoltate testimonianze contraddittorie. Il nipote, che viveva con la coppia, ha confermato di aver visto un pugno sul braccio della zia e di aver udito urla, ma ha ammesso di essere personalmente «un po’ libero» e che lo zio non lo faceva uscire «perché non parlavo bene l’italiano». La moglie, durante le indagini, aveva detto che il marito impediva alla famiglia ogni libertà, ma il ragazzo ha ricordato anche incontri con vicini di casa e uscite per la spesa.
Il cinquantenne ha sempre negato ogni forma di violenza, ammettendo solo frequenti liti con la moglie, che voleva tornare in Tunisia. All’epoca era stato destinatario di un decreto di allontanamento. Ora, con la parola che passa alla Procura, resta da capire se davvero si aprirà un nuovo processo, questa volta con ruoli invertiti.
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