FESTIVAL DI SANREMO
Ilacqua, il paroliere filosofo
È in gara con il testo “Occidentali’s Karma” scritto per Francesco Gabbani, con cui nel 2016 vinse la categoria Nuove proposte

Tanta passione per l’arte e la filosofia. E un amore sfrenato per la scrittura, la musica e la natura. Un personaggio davvero poliedrico Fabio Ilacqua, autore varesino (di Casbeno e originario di Fogliaro) che firma uno dei pezzi più amati di questo Sanremo 2017, ovvero “Occidentali’s Karma”, interpretato da Francesco Gabbani, quest’anno tra i big e l’anno scorso vincitore di Sanremo Giovani con “Amen”, altra canzone fortunata che porta sempre la firma del varesino Ilacqua.
“Occidentali’s Karma” vede anche un’altra firma della nostra provincia, quella del gallaratese Luca Chiaravalli (anche direttore d’orchestra, oltre che compositore e arrangiatore per tanti famosi artisti tra cui alcuni in gara al Festival come Paola Turci, Raige e Giulia Luzi). Il brano inoltre è stato scritto anche da Gabbani e dal fratello Filippo. Ilacqua l’anno scorso con “Amen” aveva ricevuto il Premio “Sergio Bardotti” per il miglior testo di Sanremo 2016.
Partiamo dalle grandi collaborazioni: lei firma “A un passo da te” per due miti come Celentano e Mina: com’è nato il progetto?
«Avevo saputo che il loro nuovo album era ormai chiuso, ma ho deciso comunque di mandare il brano. Mina e Celentano hanno deciso di riaprire il disco appositamente e di inserirlo. Ovviamente sono contento, anche se come carattere magari non lo do a vedere: sono un tipo molto tranquillo».
Quali altri sodalizi artistici ha in corso?
«Di recente ho avuto un incontro con Loredana Bertè, poi ho lavorato a un brano del nuovo album di Paola Turci, una persona davvero umile e semplice. Sono anche molto contento che Marco Mengoni abbia scelto un mio brano, “Se imparassimo”».
Ci dica qualcosa in più di “Occidentali’s Karma”?
«Francesco sul palco dell’Ariston balla affiancato da uno scimmione. Il riferimento testuale “la scimmia nuda balla” non è casuale: è ispirato al libro “La scimmia nuda” dell’antropologo Desmond Morris. Alla fine non dobbiamo dimenticare il nostro passato: siamo le uniche scimmie senza peli, solo che abbiamo gli smartphone. C’è poi un collegamento con una poesia di Quasimodo, “Uomo del mio tempo”: siamo ancora quelli “della pietra e della fionda”».
Un brano movimentato e accattivante e un testo profondo...
«Volevamo portare un pezzo diverso, che facesse riflettere. Il ritmo è dinamico, ma la canzone è malinconica. Al centro c’è un messaggio forte: il fallimento del genere umano».
Un autore a cosa deve prestare attenzione?
«Occorre scrivere in modo onesto e ricordare che si diventa degli amplificatori sociali. C’è sempre qualcuno che ascolta dall’altra parte. Sarebbe meglio fuggire dalle canzonette, sono come quei quadri che si comprano solo per abbinarli all’arredamento».
E lei a quali autori o musicisti si ispira?
«Amo il grande cantautorato italiano: Guccini, De Andrè, Conte, Fossati, Bertoli. E poi ancora il folk tradizionale. Nel caso di Guccini, per esempio, non mi sono perso un concerto. E’ così che si devono scrivere le canzoni».
Ha la passione per la filosofia?
«Mi piace molto leggere. Ora per esempio sto approfondendo il linguista Noam Chomsky. C’è una sezione che parla di come lavorare per il bene comune e mi piace perché lui è un anarchico».
Lei è anche un musicista…
«Suono da quando avevo 16 anni, facevamo le prove in un paesino della provincia, Morosolo. Ho suonato per anni alle feste della birra (da Brinzio a Sumirago) e in diversi locali del Varesotto. Frequento da sempre il Circolo di Casbeno, tra l’altro vorrebbero organizzare un live con Gabbani anche se ora, comprensibilmente, è molto impegnato».
Che studi ha fatto?
«Mi sono diplomato al Liceo Artistico di Varese. Poi ho studiato Scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera. Dipingo anche: mi piace moltissimo. Trovo che le immagini siano ancora più potenti delle parole».
E il suo legame con la natura?
«Coltivo terra a Casbeno e lo adoro. Nella mia vita (oltre a mio padre Giuseppe, che ringrazio per il suo talento e la sua delicatezza) devo ringraziare Eros Antonello, un anziano scomparso di recente. Mi ha insegnato a lavorare la terra: la campagna è una scuola di vita».
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