MILANO
La Natività secondo un’iconografia insolita
In mostra fino all'1 febbraio al Museo Diocesano
È un momento intimo e domestico, fatto di stupore, turbamento e certezza, quello che ci fa vivere Lorenzo Lotto (1480-1556) nella sua piccola – solo per dimensioni, è alta 55 cm – tavola, firmata e datata 1525, esposta al Museo Diocesano di Milano in occasione della nuova edizione dell’iniziativa Un Capolavoro per Milano. Come commenta Axel Hémery, direttore della Pinacoteca Nazionale di Siena (da cui l’opera proviene) e curatore della mostra insieme a Nadia Righi, direttrice del museo milanese, questo è un quadro che ne contiene almeno altri dieci. Perché il genio inquieto del Rinascimento, come alcuni studiosi hanno definito Lotto per la sua pittura intensa e tormentata, è creatore di opere complesse dal punto di vista stilistico e iconografico. Lotto, scrisse Bernard Berenson, autore della prima monografia sull’artista (e artefice della sua riscoperta dopo secoli di oblio) filtra «l’universo tangibile attraverso il tessuto del proprio temperamento», «non staccato dai suoi personaggi ma vivo e in essi presenti», secondo Pietro Zampetti, tra i massimi conoscitori dell’artista.
In questa Natività realizzata durante il lungo soggiorno bergamasco, Lotto sceglie di raffigurare il momento del primo bagno del bambino, avvenuto appena dopo la nascita. Ad affiancare Maria c’è una donna, una levatrice, che Giuseppe era andato a cercare appena arrivato il momento del parto. Lotto raffigura la donna con le mani prive di dita, rifacendosi ai racconti apocrifi (cioè non riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa), in cui si parla di Salomè che, arrivata subito dopo la nascita di Gesù, non aveva creduto alla verginità di quella donna che aveva appena partorito; volendo “toccare con mano”, il suo arto si era rinsecchito. Episodio che si trova raffigurato anche in tempi antichi, ad esempio nella misteriosa chiesetta di Santa Maria foris Portas a Castelseprio. Secondo gli studiosi, però, Lotto potrebbe avere contaminato la figura di Salomè con quella di Anastasia, la levatrice protagonista del Vangelo arabo dell’Infanzia, un testo apocrifo del V-VIII secolo che racconta di una donna con entrambe le mani rattrappite, guarita dal Bambino per la sua fede. Di chiunque delle due si tratti - Lotto lascia forse volutamente il mistero - si sottolinea il parto virginale di Maria e il potere salvifico di Cristo, fonte di Grazia. La sua natura umana è poi accentuata da un dettaglio, la presenza del cordone ombelicale ancora collegato all’addome. La sua divinità, invece, dalla luce emanata da quel piccolo bimbo che si ritrae dall’acqua, forse perché troppo fredda, come farebbe ogni neonato. Oltre a questa sorgente di luce soprannaturale, un’altra fonte luminosa, tutta terrena, è data dal fuoco che arde sul fondo. Una donna scalda i panni, il viso arrossato dalla fiamma. La luce emanata da Gesù illumina il primo piano del dipinto, rendendo straordinario l’ordinario, gli oggetti presi da un’umida stalla bergamasca del Cinquecento, un paiolo per la polenta, il contenitore per il latte, la scodella messa a scaldare su poche braci, il bacile di rame usato per il bagnetto, che si colora sul bordo dei riflessi del vestito rosso di Maria, «un incanto – scrive Hémery – della stessa leggerezza della traccia di un rossetto su un bicchiere».
In questa ambientazione quotidiana e domestica in cui si svolge l’evento sacro, colpisce il viso giovane e pieno di luce di Maria. Su di lei, non sul Bambino, si fissano gli occhi della levatrice, che guarda colei che è certa di dove occorre posare lo sguardo. Lotto, scriveva Berenson, esercita su di noi il fascino di un’anima gemella che ci parla da un’epoca lontana»: così, esattamente cinquecento anni fa, in un momento di grandi incertezze, come quello attuale, Lotto, scrive Nadia Righi, «ci indica per questo Natale dove conviene guardare».
© Riproduzione Riservata


