VIAGGIO TRA I GIOVANI
«Lingua sempre più scarna, serve a identificare il gruppo»
L’analisi del dirigente del liceo Ferraris Marco Zago: «Il gergo giovanile di oggi è influenzato da internet, strumento utilizzato per diffondere neologismi»

Ogni generazione ha avuto il suo linguaggio. Dal «ciao raga» in uso negli anni ‘80, al «ehi bro» di oggi.
Come si esprimono i ragazzi in questi anni?
«Ogni generazione ha il suo linguaggio e il suo modo di esprimersi – risponde Marco Zago, dirigente scolastico del liceo scientifico Ferraris, preside dal 2014 e professore dal 2002 – il gergo giovanile di oggi è fortemente influenzato dai social media e da internet, strumenti utilizzati per diffondere neologismi o sigle come ad esempio POV. Questo perché i ragazzi sono costantemente collegati con i social, e con il mondo, cosa che produce contaminazione. Notevole è il ricorso ai neologismi che trovano nell’inglese la fonte principale di ispirazione. Un termine in voga oggi è crush: significa avere un’infatuazione oppure avere una “cotta” per un’altra persona come si diceva in passato. «Stai nel chill», stai tranquillo oppure «switchare»: significa cambiare idea. «Matchare»: trovare un accordo, i ragazzi lo utilizzano in riferimento alle relazioni, all’abbigliamento o ad altri interessi. Vi sono altri termini mutuati anche da generi musicali come il Rap e/o il Trap, ad esempio «dissing»: significa criticare o denigrare. Lo scorso anno gli studenti di una classe quinta del liceo Ferrais, nell’ambito delle attività di educazione civica, hanno collaborato con un noto trapper per leggere e comprendere il significato di alcuni testi di musica trap ricchi di neologismi e termini provocatori. Esperienza costruttiva che ha messo a confronto la generazione degli studenti con quella dei docenti».
Anche il linguaggio scritto sta cambiando?
«Rispetto al passato, il linguaggio scritto è sempre più colloquiale. Senza generalizzare credo che si sia ridotto il numero di vocaboli utilizzato dai nostri studenti. Una volta era più forbito e ricercato, oggi si nota un utilizzo ripetuto di alcuni termini quando se ne potrebbero usare tanti altri. Sicuramente c’è meno ricercatezza nell’uso della lingua italiana».
Bisognerebbe “risciacquare i panni in Arno”, proprio come fece Alessandro Manzoni prima della stesura definitiva de I Promessi sposi, per adeguare il suo linguaggio alla lingua fiorentina parlata dai ceti colti?
«Sicuramente il compito della scuola e delle famiglie è quello di appassionare i ragazzi alla lettura per arricchire il loro vocabolario, un processo che va iniziato fin dalla scuola primaria. Al liceo Ferraris abbiamo attivato un progetto educativo ”Read more” che prevede di dedicare venti minuti al giorno, per tutto l’anno, alla lettura libera all’interno della normale attività scolastica. L’obiettivo principale è far sì che la lettura diventi per i ragazzi un’abitudine quotidiana, un piacere finalmente svincolato da imposizioni, obblighi o giudizi, tutto ciò anche al fine di favorire l’acquisizione di un vocabolario sempre più ampio».
Può fare un esempio di termini completamente in disuso?
«Mi vengono in mente parole come tautologico o pleonastico. È tanto che non le sento».
Il “lei” viene usato o i giovani preferiscono il tu anche in contesti formali?
«Usano il lei quando si rivolgono agli insegnanti. Nel passato c’era anche qualche insegnante che si rivolgeva dando del lei agli studenti. Devo dire che i ragazzi del nostro liceo sono molto educati non solo nella forma, ma anche nella sostanza. Dare del lei significa riconoscere i ruoli, senza che ciò infici la relazione positiva e collaborativa di reciproca fiducia che deve esistere tra discente e docente. In tale contesto, conoscere, riconoscere e comprendere il linguaggio reciproco è fondamentale».
I giovani fanno largo uso di parolacce?
«Per come conosco io i ragazzi, nei luoghi istituzionali non usano parolacce. Tra di loro penso di sì».
Esistono modalità di linguaggio e modi di vestire che identificano un gruppo?
«Sì. Oggi, grazie ai social media, è più facile individuare i comportamenti che identificano i diversi gruppi. In essi si vedono codici di comportamento e di linguaggio verbale e non verbale che caratterizzano e identificano l’appartenenza a ciascun gruppo».
Secondo lei il linguaggio si sta evolvendo, oppure è in corso una involuzione?
«Ogni generazione ha avuto il suo linguaggio. Oggi, più che in altri tempi, complici le app di messaggistica, che consentono ai ragazzi di comunicare attraverso semplici simboli vedi i “like” oppure messaggi brevi, si usa una lingua sempre più scarna. Ma non so se si può parlare di involuzione. Sicuramente siamo di fronte a un linguaggio sottoposto a contaminazioni sociali e culturali che si sta modificando molto velocemente. Lo scorso anno il nostro liceo, insieme ad altre scuole italiane, ha partecipato ad una ricerca (ancora in corso) realizzata dal Centro di Ricerca in Didattica dell’Italiano dell’Università di Bologna tesa ad analizzare i cambiamenti nella qualità della scrittura degli studenti negli ultimi cinquant’anni attraverso l’analisi delle prove scritte di maturità di italiano, uno dei momenti più alti dell’esperienza di scrittura a scuola. Lo studio riguarda sia l’aspetto quantitativo sia quello qualitativo, a tal fine sarà possibile quantificare la ricchezza del vocabolario o la complessità sintattica dei testi prodotti nei vari decenni in rapporto ai tempi più recenti nei diversi tipi di scuola. Sono in attesa di conoscere l’esito di questa ricerca».
I ragazzi secondo lei sono interessati alla lingua? Avvertono il desiderio di proteggerla?
«Gli studenti mostrano interesse per lo studio della lingua e della letteratura italiana. In un liceo scientifico e nella scuola italiana più in generale c’è grande attenzione all’uso corretto e adeguato della lingua italiana, intesa non solo come un mezzo per comunicare, ma necessaria per sviluppare il pensiero critico».
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