LA PROF DI LATINO
Lo slang dei giovani? «Oh, my God»
Renata Ballerio: «Riflettere sul linguaggio dei ragazzi è importante a condizione che noi adulti non lo imitiamo per sentirci giovani»

Latino e linguaggio giovanile sono più simili di quanto si possa pensare per la varietà linguistica e la capacità di creare nuove parole. Li accomuna anche un infausto destino: l’estinzione. I linguaggi giovanili si evolvono talmente velocemente che spesso, quando giungono alle orecchie degli adulti, sono già morti. A parlare di linguaggio giovanile è una amante del latino che ha passato tanti anni della vita con i giovani: Renata Ballerio. «Accetto l’intervista, anche se sarei tentata di rispondere con un’espressione dello slang adolescenziale, come omg, oh my God. Affrontare il tema è certamente cringe, un pochetto imbarazzante per me e forse fastidioso per un giovane che legge questa nostra chiacchierata – risponde Ballerio, preside in pensione, scrittrice, conduttrice del programma radiofonico “La Campanella” su Radio Missione Francescana e insegnante di latino in UniCagnola –. Spero di aver tradotto bene il termine “cringe” studiato persino dall’accademia della Crusca che ci ricorda che è un anglismo ma con radici greche. Riflettere sul linguaggio giovanile è importante a condizione che noi adulti non lo imitiamo per sentirci giovani. Sarebbe inutile e saremmo criticati. Basti pensare a come i giovani contestano il nostro modo di usare le emoticon e di scrivere sms e messaggi su WhatsAppcon poche abbreviazione e persino con i punti esclamativi che secondo un decalogo di un giovane studente americano sarebbero da abolire».
L’interesse è quello di far analizzare il linguaggio giovanile da chi, come lei, si interessa di lingue morte...
«Faccio io una domanda: da quale punto di vista vogliamo analizzare il linguaggio dei giovani? Psicologico, in quanto strumento per crearsi un’identità? Oppure sociologico perché, non solo nel 2025, è un modo per capire il loro modo di sentirsi gruppo? Sono tutti approcci legittimi, ma bisogna capire lo scopo. Un genitore ha paura di sentirsi escluso da questa nuova forma di incomunicabilità. Un insegnante teme l’ulteriore impoverimento del linguaggio e quindi del pensiero con uno scarto sempre più forte tra la comunicazione orale e quella scritta. Il mio approccio è educativo e di grande curiosità linguistica. Da dieci anni sono in pensione. Continuo a osservare con interesse il pianeta-adolescenza e mi pare di cogliere un certo smarrimento educativo su questo aspetto che è un modo - non da oggi - per cercare un’identità oppositiva rispetto al mondo adulto. E questo è normale. Il rovescio della medaglia è che spesso il codice comunicativo, in vertiginosa evoluzione, viene usato senza consapevolezza e si trasforma da trasgressione generazionale in appiattimento omologante, mascherato da creatività».
Perché il linguaggio giovanile è interessante dal punto di vista linguistico?
«Ormai esistono manualetti per decifrare questo slang. Interessante è il libro di Pietro Battipede intitolato “Glossario criptato dei giovani“, con un azzeccato sottotitolo “Parlare per nascondersi”. Questi dizionari, dizy per dirla in modo giovanile, non servono molto, dovrebbero essere continuamente aggiornati visto che molte espressioni nascono e scompaiono velocemente. Ad esempio cringe è già in parte superato. Rispondono a certe curiosità di noi matusa, per usare un termine antidiluviano, in voga molti anni fa. E per inciso il matusa era non l’anziano in quanto tale ma chi non si adeguava ai tempi. Forse sarebbe più utile rendere il giovane consapevole delle parole. Il geniale Stefano Benni, mago della parola, affermava che c’è sempre una responsabilità delle parole. Quanti giovani sanno che lo slang, parola dall’etimologia incerta, era in uso già tra i ladri inglesi del Seicento? Lo usavano per non farsi capire dalle autorità. Che voglio dire? Al di là delle singole espressioni (per inciso alcune nate per dare un nome a comportamenti preoccupanti, come il ghosting), bisognerebbe capire perché gli adolescenti non vogliono farsi capire dagli adulti. Insomma, il linguaggio giovanile, gergo o slang, valido nel gruppo a cui vogliono appartenere o in cui vogliono essere accettati, è davvero un mezzo per escludere gli adulti? Un’esclusione che spesso diventa accusa di non essere compresi. Una adolescente che conosco ha criticato un paio d’anni fa la sua docente che non sapeva il dramma nascosto dentro la parola ghostare. Insomma il problema degli adulti è quello di comprendere il mondo adolescenziale, di cui lo slang è solo la punta dell’iceberg».
Cosa hanno in comune il latino e il linguaggio giovanile?
«Da amante del latino so bene che ogni lingua è in continua evoluzione e trasformazione: parole che nascono e parole che muoiono, e altre che si adattano. Anche il gergo giovanile si modifica. Non dimentichiamoci il gergo in uso tra i giovani degli anni Sessanta. Allora la grande fonte di ispirazione erano i termini inglesi recuperati dalla musica, oggi è per lo più l’inglese tecnologico. Ci salutiamo con uno scontato “ciao”, ma questo innocuo saluto ha una lunga storia. Negli anni Cinquanta era ancora considerato troppo colloquiale e giovanile, per essere “sdoganato” e diventare saluto di tutti ebbe bisogno una canzone: Piove (ciao ciao bambina). E questo ci fa riflettere per capire quanto del nostro modo di parlare è influenzato anche dai media e dalla cultura di massa. E da prof, una delle tante abbreviazioni amate da anni per una comunicazione veloce, continuerò a osservare, ascoltare e leggere. Molto, ad esempio, ho scoperto in un romanzo di Luca Bernardi, “Medusa”, ricco di espressioni giovanili. Quindi, per capire di cosa parliamo quando parliamo di lingua, bene consultare il Castiglioni Mariotti, ma non solo».
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