LA MUSICA
Lumache rosse. Con l’ukulele
La rivelazione Samuele Di Rienzo: suono per colpa degli amici
Ha un nome curioso che rivela una storia di amicizia: Lumache Rosse è un giovane cantautore di 20 anni (classe 1998); all’anagrafe Samuele Di Rienzo, è nato a Varese, vive a Cantello, che, tiene a precisare con un pizzico di ironia, «in passato si chiamava Cazzone».
Studente di Belle Arti a Milano, nel tempo libero suona, principalmente l’ukulele in quanto, ammette, «avendo due corde in meno rispetto la chitarra risulta molto più facile».
Ha iniziato a suonare per gioco, poi la cosa si è fatta più seria da quando ha realizzato “Via Cavour”, il primo EP ufficiale, uscito il primo aprile 2018, un “pesce d’aprile” simbolico per la musica italiana, spiega con una battuta (6 tracce, disponibile sugli store digitali).
«Sono alto 1.84, abbastanza alto - precisa - il che fa ridere perché suono uno strumento di piccole dimensioni come l’ukulele».
Qual è il tuo legame con la provincia di Varese?
«Sono molto legato ai luoghi di Varese, dove ho passato molto tempo in compagnia, dai Giardini Estensi alle vie del centro, dai pomeriggi dopo scuola ai sabati sera, camminando ed esplorando ogni meandro di questa città. Ho frequentato il liceo artistico Frattini di Masnago, diplomandomi nel 2017, ora sono al secondo anno all’Acme di Milano».
Perché hai iniziato a fare musica?
«Perché le persone più vicine a me erano vicine alla musica. In quinta elementare ho comprato la prima chitarra dopo averla vista dal mio migliore amico. Alle medie ho iniziato a suonare il pianoforte per lo stesso motivo, suonando a scuola entrambi gli strumenti. Ho smesso di seguire le lezioni, e quindi di suonare, con l’avvento delle superiori, forse per il poco tempo. Un giorno, in terza liceo, il compagno di banco mi ha mostrato quello che aveva comprato, un ukulele: me ne sono innamorato. Arrivato a casa, l’ho comprato subito su internet. Qui, suonando le canzoni dello Stato Sociale ho imparato a usarlo, e un giorno, dopo essere tornato a casa da scuola, mi sono messo sul letto e ho iniziato a suonarlo. Quel pomeriggio è nata la mia prima canzone, “Margaret Blues” (disponibile su Spotify). Suonare era diventato una valvola di sfogo, mi sentivo proprio a mio agio, in sintonia con il mio strumento. Se faccio musica è colpa dei miei amici».
La scelta del nome d’arte?
«La lumaca rossa era un disegno di Giovanni (@janku_du su Instagram), un mio compagno di classe, (colui che ha comprato l’ukulele). Insieme a lui ed un altro ragazzo dopo scuola ci trovavamo a suonare, e per gioco ci chiamavamo Lumache Rosse. Suonavamo le cover dello Stato Sociale, senza alcuna competenza o intento, solo perché ci divertiva. A un certo punto, quando le cose si son fatte più serie, e per serie intendo cover su YouTube dell’Officina della Camomilla, il nome del canale si chiamò così, e di conseguenza pure il gruppo. Inizialmente era un duo, entrambi voce e ukulele, e iniziammo ad arrangiare i primi inediti, registrando in una cantina, con una qualità pessima. Una volta ritrovatomi solo, stavo per intraprendere la strada musicale, dovevo scegliere un nome e decisi ti tenere questo, in quanto suonava bene, meglio di me, e mi ricordava tutto quello che era successo prima».
Novità in corso?
«Nel progetto due ragazzi, Alberto Moschella (chitarra) e Riccardo Gaudenti (batteria) che mi danno una grossa mano, rendendo più bella la parte live. Sto lavorando al nuovo album, non so quando uscirà, so solo che sarà molto diverso. Molto più maturo, a livello musicale ovviamente. Alberto e Riccardo hanno arricchito questa parte della mia vita, di conseguenza anche la mia musica».
Qualche live in zona prossimamente?
«Sicuramente in un locale molto bello, il Caesar (bar del minigolf dei Giardini di Varese), data ancora da definire. Il 12 dicembre invece, suonerò a Milano, al circolo Hoibo».
Quali sono le tue fonti di ispirazione artistica?
«Oltre ai gruppi scoperti tra i banchi di scuola (Lo Stato Sociale e l’Officina della Camomilla), direi Calcutta e i Pinguini Tattici Nucleari, che ancora oggi sono due dei pilastri della mia ispirazione».
Cosa vuoi dire con la tua musica?
«Una spensieratezza liceale, che non guasterebbe mai in alcune situazioni. Una leggerezza che potrebbe far dimenticare per un attimo i problemi. Nei testi ci sono anche argomenti più seri certo, però trattati con un filtro ironico, sempre con il sorriso anche se una canzone sembra apparentemente presa male. È un po’ la mia filosofia di vita, e vorrei trasmettere questo».
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