MAGA
«Doppio spazio» per la mostra dell’estate
Incontrare l’artista Paolo Masi e la sua opera nella mostra «Doppio spazio» al Museo Maga di Gallarate vuol dire rivivere la stagione dell’arte che negli anni Sessanta/Settanta sconvolse i canoni della pittura e portarla, aggiornandola, ai nostri tempi. «Vede questa installazione, Riflessioni riflesse, - ci dice l’artista camminando nel piazzale del museo - è formata da tanti cerchi specchianti con sopra altri cerchi più piccoli di plexiglas in colori fluo spostati dal centro per rendere il tutto più dinamico. È gioiosa e gioca sulle vibrazioni luminose, che mi interessano moltissimo, come del resto nel mio lavoro sono importanti i materiali». E non può essere diversamente, dal momento che il vivace creativo fiorentino, classe 1933, ha dedicato ai processi percettivi cromo-luminosi e tattili buona parte della sua ricerca.
Il percorso espositivo, curato da Lorenzo Bruni, non segue un criterio cronologico ma tematico e si apre al piano terra con tre grandi lavori, a cominciare da «Parete elastica e dilatazione» (1969-2018), esteso muro su cui sono tesi verticalmente e incrociati numerosi fili. È lo spazio doppio: fisico e mentale, reale e percepito. Non diversamente dalle «onde» aggettanti di una tavola composta da strisce bianche verticali di Pvc e dalla tela grezza cucita con filo poi tagliato. La modificazione dello spazio fisico e percepito ha un acuto nell’installazione al buio «Linee-luce ad angoli di rifrazione» (1972), in cui linee rette di alluminio, plexiglas colorato, specchi e neon disposti sul pavimento generano incroci luminosi sulla parete.
Inserito nel dibattito artistico italiano del tempo, che contemplava tendenze varie, dall’arte cinetica alla concettuale, dalla «pittura analitica» ad Azimuth (che in mostra sono esemplificate da lavori presi dallo scrigno del Maga), Masi ha cercato soluzioni alternative personali «per non ridurre l’opera solo ad una questione ideologica o solo estetica, di razionalizzazione o di istintualità» (Bruni).
Animatore del rinnovo culturale, ha realizzato mostre all’interno di Case del Popolo, in spazi private e pubblici, quindi ha fondato collettivi artistici e spazi d’arte, tra cui negli anni Settanta «L’Aquilone», «Zona», «F-Uno». Di quest’ultimo racconta: «Ho voluto portare in mostra il Multibox del 1961 con opere di ogni partecipante, oggetti colorati della vita quotidiana. Per me arte e vita sono un connubio inseparabile, in cui il gesto del singolo convive con le esigenze della collettività».
Due dipinti d’inizio anni Sessanta segnano il passaggio dall’informale a lavori in sequenze strutturate o a superfici monocromatiche «per un bisogno di ordine». E a proposito delle sequenze, nel 1976, Masi realizza una composizione di 45 scatti polaroid d’aspetto rigidamente geometrico di tombini, parti di muri e altri segni del contesto urbano fiorentino. Sono i «Rilevamenti esterni-conferme interne», già sperimentati a New York e visti come relazione tra l’appropriazione di frammenti della realtà e l’identificazione della propria immaginazione. Abbandonandosi a una maggiore libertà formale e cromatica ripete per la Gallarate del 2018 la medesima operazione.
Al piano superiore del museo due grandi tele dall’aspetto monocromatico, ruggine e bluastro, sono l’esito dello sgocciolamento di smalti diversi: «Ho inteso far vibrare l’opera avendo in mente i pixel della televisione e il puntinismo di Seurat».
L’interesse di Masi per i materiali ha prodotto oltre un centinaio di tavole visivo-tattili realizzate con i prodotti più diversi e presentate alla Biennale di Venezia del 1978, che nella rassegna gallaratese si confrontano con costruzioni sul pavimento di grandi quadrati in legno grezzo sovrapposti agli angoli, al cui interno lo spettatore può muoversi liberamente. «Rimandano alla nostra presenza nelle strutture dell’arte e della vita che ognuno vive secondo la propria esperienza come tutte le mie opere vanno lette secondo il proprio sentire». E a maggior ragione quando si tratta di complessi lavori astratti «dinamici» con linee-vibrazioni che sembrano espandersi nello spazio generando rumori e suoni.
Gran finale nel salone aperto del Maga: sulla cui parete di fondo, decine e decine di righelli di plexiglas multicolori si alleggeriscono nelle cromie salendo verso l’alto in una fuga alla volta del cielo, mentre dal soffitto scendono trasparenti strisce di plexiglas, con geometrie rosse, che s’appoggiano al pavimento formando un cubo. «Un centinaio di cartoni da imballaggio 40x40 diversissimi messi sotto teca, presi in via Tornabuoni, la strada della moda a Firenze...» ci dicono come la magia dell’arte possa dare anche a materiali minimi «conferme interiori».
Inoltre, una speciale sezione è ospitata dalle Sale Lounge Vip dell’aeroporto di Milano Malpensa, al Terminal 1, dove sono esposti alcuni nuclei di opere pittoriche storiche e altre più recenti che illustrano la ricerca che Masi ha affrontato attorno alla pittura di matrice astratto-geometrica.
Paolo Masi, «Doppio spazio» - Gallarate, Museo Maga, via De Magri 1, sino al 16 settembre da martedì a venerdì ore 10-13 e 14.30-18.30, sabato e domenica 11-19, 7/5 euro, ingresso gratuito, info 0331.706011.
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