IL CASO
Omicidio e giallo. Di Capodanno
Il 31 dicembre 2016 trovato il cadavere dell’imprenditore Maurizio Capizzi. Sembrava un suicidio, invece qualcuno gli aveva sparato. E resta un mistero
Il giallo dura da tre anni, e in tanto tempo i colpi di scena non sono certo mancati. Perché sulla morte di Maurizio Capizzi, imprenditore originario di Bronte ma da sempre residente a Legnano, è stato detto e scritto tutto e il contrario di tutto.
All’inizio la sua morte era sembrata un suicidio, il caso era stato chiuso in meno di 48 ore. Poi quando i parenti avevano già autorizzato l’espianto degli organi ecco la sorpresa: Capizzi è morto perché qualcuno gli ha sparato.
La pistola sequestrata
Due settimane dopo la compagna e l’amante della compagna sono indagati con l’accusa di concorso in omicidio volontario, durante le perquisizioni a casa della donna i carabinieri trovano una pistola compatibile con quella che ha sparato il proiettile trovato nel polmone sinistro della vittima.
Pare fatta, invece no. Le analisi danno risultati discordanti, la pistola sequestrata non è quella che ha esploso il colpo.
Intanto l’amante della moglie è arrestato con l’accusa di spaccio di droga: lui grida che lei l’ha incastrato: nel giugno 2018 le indagini sembrano finalmente vicine alla svolta, invece tutto si blocca.
Da allora nessun passo in avanti, l’omicidio di Capodanno pare destinato a rimanere ancora a lungo un caso irrisolto.
Il corpo di Maurizio Capizzi era stato trovato la mattina del 31 dicembre 2016 nel parcheggio del cimitero di Garbatola. Un passante aveva visto un uomo riverso a terra vicino a un’auto parcheggiata e aveva dato l’allarme, i soccorritori avevano trovato il 48enne già morto, con il volto sporco di sangue.
Nell’auto, un biglietto d’addio: «Ognuno è libero di scegliere il proprio destino». Sul corpo non ci sono segni evidenti di violenza, in passato l’imprenditore aveva tentato più volte il suicidio. L’ultima volta a salvarlo erano stati proprio i carabinieri, che erano arrivati in tempo per portarlo al pronto soccorso.
Per la Procura di Milano c’è poco da chiarire: Capizzi si è ucciso. Autorizzato l’espianto degli organi, il medico legale dell’ospedale di Legnano dispone una serie di esami di rito, ma a un certo punto si accorge che quel livido sul torace è in verità il foro d’ingresso di un proiettile calibro 22.
Il delitto perfetto
Il giorno dopo il corpo avrebbe dovuto essere cremato, poteva essere un delitto perfetto. Invece la Procura riapre il caso: una settimana dopo l’autopsia condotta all’Istituto Gorini di Milano conferma che Capizzi è morto perché qualcuno gli ha sparato, il 12 gennaio la convivente e l’amante sono indagati.
Durante le perquisizioni, oltre alla pistola calibro 22 i carabinieri trovano tre chili di cocaina, nascosti in una cantina cui l’uomo poteva avere accesso. Lei resta indagata a piede libero, lui viene arrestato con l’accusa di spaccio. La pistola e il frammento di ogiva estratto dal cadavere della vittima sono inviati al Reparto investigazioni scientifiche di Parma, ma i riscontri non sono quelli che gli investigatori davano per scontati. Dopo tre anni, la verità non è ancora stata scritta.
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