IL CASO
Piazza Garibaldi, qui comanda Attila
Bande di ragazzi scorrazzano e devastano l'ex salotto buono di Busto
Parliamo di buona educazione. Parliamone, con il rischio di essere irrisi all’interno di un contesto sociale che la buona educazione l’ha dimenticata, e da un pezzo. Ve le immaginate solo una trentina d’anni fa frotte di ragazzini scatenati che entrano ed escono da un negozio del centro facendo manbassa della merce? Non c’era nemmeno bisogno di chiamare i carabinieri: sarebbe bastato il titolare, un rimprovero con voce stentorea e la "festa" sarebbe subito finita. Al resto avrebbero pensato i genitori dei teppistelli.
Settimana scorsa, invece, un negozio di abbigliamento aperto da poco in piazza Garibaldi, il salotto, meglio, l’ex salotto di Busto Arsizio, è stato letteralmente saccheggiato da una banda di adolescenti, che l’ha svuotato: un centinaio di furti in serie in una manciata di giorni, fuori un gruppetto dentro un altro, senza che fosse possibile fermarli. Nemmeno le forze dell’ordine ci sono riuscite: appena abbandonavano il campo, l’assalto ricominciava, quasi senza soluzione di continuità.
Perché dovremmo indignarci di fronte alle notizie di una piazza ridotta a un bivacco, dove pare comandi Attila, il Flagello di Dio, e scorrazzino gli Unni? Si tratta delle conseguenze, a Busto come nelle altre città della Penisola, della fine della buona creanza, quella che ai sessantenni di oggi insegnava la maestra e, in famiglia, papà e mamma. Niente è più come prima, figurarsi i giovani, che hanno bisogno di esempi e di indirizzi. Se i primi a derogare alle regole più scontate del vivere civile sono gli adulti, perché mai dovrebbero rispettarle loro?
Una volta, quando si litigava con qualcuno, il massimo dell’insulto era: ma va a fa un brodo. Ai nostri giorni il "vaffa" è quasi una locuzione oxfordiana dentro il turpiloquio.
Per risolvere il problema bisognerebbe militarizzare la piazza. «Interveniamo manu militari» berciava un sindaco della zona nel tentativo di arginare un analogo fenomeno in una piazza della sua città. Non scherziamo, non servono i carri armati per fermare la furia devastatrice dei vandali e l’illegalità. Ci vuole altro. Ma, appunto, niente è più come prima. La crisi non è solo economica, è anche valoriale. In televisione passa di tutto, nei social network anche di più. Straordinaria invezione l’web. Straordinaria e pericolosa. I ragazzini la usano a colazione, a pranzo, a cena e durante il sonno. E la usano male.
«Società liquida» sintetizza un famoso sociologo con una metafora. Liquida perché tutto si decompone e si ricompone alla velocità delle luce. Non ci sono più riferimenti veri, persino la memoria del passato svanisce e la funzione aggregativa comincia e finisce col divertimento, il più scellerato possibile. A completare l’opera è l’istinto d’emulazione. Se l’amico getta la bottiglia vuota nella fontana, il compagno fa lo stesso. Se il leader del gruppo sporca con lo spray la colonna del porticato, tutti gli altri si sentono legittimati a scimmiottarlo. E se qualcuno ne chiede conto lo si manda a quel paese (eufemismo). Sintomatico l’atteggiamento dei ragazzini sorpresi dalla polizia a rubare nel negozio di cui si diceva: invece di preoccuparsi delle conseguenze del loro gesto hanno chiesto agli agenti di poter fare un selfie con loro. Di che cosa stiamo parlando? Già, di che cosa? Qualcuno obbietterà che i giovani scaperstrati e perdigiorno sono sempre esistiti. E pure violenti. Ma forse avevano un’altra cifra e, molti di loro, hanno avuto un’altra storia, umana e professionale. Più facile fare carriera, ma anche meno facile galleggiare nel vuoto. Al liceo rubavano i libri dagli scaffali della libreria del centro. «Esproprio proletario» giustificavano. E comunque erano i libri di Proust o Herman Hesse. I ragazzini di oggi pensano che Marcel Proust sia un attaccante del Paris Saint Germain e di certo non sfiora loro l’idea di "ricercare il tempo perduto". Tanto meno di pensare al futuro. Sbrecciare un muro, gettare per terra una cartaccia, insultare un passante, aggirare una fila, truffare l’amico, infischiarsene degli altri, urlare per strada, sostare rumorosamente di notte sotto le finestre di chi dorme: il catalogo potrebbe non avere fine. La maleducazione imperante in Piazza Garibaldi è la rappresentazione locale di un intero Paese. Il migliore di tutti noi? Il clochard che stazione sulla griglia del supermarket. Non è un bel biglietto da visita, siamo d’accordo, ma almeno non disturba nessuno.
Altri servizi sulla Prealpina in edicola mercoledì 18 marzo
© Riproduzione Riservata