TRIBUNALE
Stupro di Venegono, l'ex imputato chiede il risarcimento
Prima dell'assoluzione, il giovane rimase in carcere per 15 mesi

Una richiesta di «riparazione per ingiusta detenzione», che si è protratta per circa un anno e tre mesi, è stata presentata dai legali di Anthony Gregory Fusi Mantegazza, un giovane che venne arrestato, assieme ad un altro, Hamza Elayar, con l’accusa di aver aggredito e violentato, la sera del 3 dicembre del 2021, due donne di 22 anni. Entrambi erano stati assolti dal Tribunale di Varese nel marzo del 2023.
Quello stesso anno, nove mesi dopo, arrivò la richiesta dei difensori di Elayar, gli avvocati Maurizio Punturieri e Fabio Bascialla, di un indennizzo per ingiusta detenzione alla Corte d’Appello di Milano. E, ora, è arrivata la medesima richiesta anche dai legali dell’altro ex imputato.
Dal processo, avevano scritto i giudici, non sono emersi «elementi certi per ritenere che i due imputati siano stati gli autori dei reati contestati». Da qui la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione avanzata dagli avvocati Eugenio Losco, Mauro Straini e Monica Andretti alla Corte d’Appello di Milano.
I due erano accusati di due distinti episodi di abusi: il primo ai danni di una giovane che era su un treno regionale della tratta Milano Cadorna-Varese Nord; il secondo nei confronti di un’altra ragazza all’interno della stazione di Venegono Inferiore. La Procura per i due imputati aveva chiesto condanne fino a 9 anni e 1 mese, ma poi sono arrivate le assoluzioni e le scarcerazioni. Gli avvocati Straini, Losco e Andretti avevano anche svolto indagini difensive per conto del loro assistito.
I giudici (Tacconi-Basile-Buffa) nelle motivazioni avevano chiarito che i racconti delle due giovani vittime erano «del tutto credibili e i reati contestati sussistono». Gli elementi delle indagini e del processo, però, come i «mancati riconoscimenti» degli imputati anche da parte dei testimoni e gli «accertamenti tecnici su un colbacco», che hanno escluso che fosse stato da loro indossato, non consentono di ritenerli responsabili «oltre ogni ragionevole dubbio».
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