INNOVAZIONE
Tecnologia e sprechi: la doppia faccia della sanità che non innova
Il sistema fatica a essere digitalizzato, e la telemedicina è ancora poco sfruttata

La sanità pubblica italiana si muove in un paradosso costante: da un lato il progresso tecnologico offre possibilità prima impensabili in termini di diagnosi precoce, gestione a distanza, personalizzazione delle cure; dall’altro la macchina organizzativa del Ssn fatica ad assorbirle, frammentata tra ventuno sistemi sanitari regionali che raramente dialogano.
Il Pnrr ha messo sul piatto 15,6 miliardi di euro per la sanità, di cui 7 destinati alla riforma dell’assistenza territoriale, ma a oggi i progetti completati sono meno del 30% e solo una quota residuale dei fondi ha generato effetti strutturali. Il Fascicolo sanitario elettronico, che dovrebbe essere lo snodo di un sistema integrato, è operativo in modo disomogeneo: nel 2024 l’utilizzo effettivo da parte dei medici di medicina generale è sotto il 25% in sette Regioni, mentre il caricamento automatico dei dati da parte delle strutture sanitarie risulta ancora parziale o manuale in oltre un terzo dei casi. La digitalizzazione dovrebbe migliorare la qualità e ridurre i costi, ma senza interoperabilità si moltiplicano gli esami ripetuti, le prestazioni inappropriate, le prescrizioni non coordinate, con un costo stimato di oltre 4 miliardi l’anno in sprechi sanitari secondo l’Anac. La telemedicina, che ha visto un’accelerazione forzata durante la pandemia, nel 2024 copre appena il 12% delle visite effettuabili da remoto, con enormi differenze tra Nord e Sud e un digital divide che penalizza aree interne e popolazioni fragili. Gli investimenti in intelligenza artificiale, machine learning e big data restano marginali: meno dell’1% della spesa sanitaria è dedicato a tecnologie abilitanti, con un numero ancora irrilevante di sperimentazioni operative in oncologia, cardiologia e riabilitazione. I dati ci sono ma non vengono sfruttati: il patrimonio informativo generato dalle prestazioni del Ssn non è ancora utilizzato sistematicamente per pianificare fabbisogni, monitorare efficacia, valutare gli esiti, con la conseguenza che l’efficienza del sistema resta affidata più alla buona volontà dei singoli che a un’architettura progettuale. Il risultato è un modello che costa molto, restituisce in maniera diseguale e rischia di perdere terreno rispetto ai sistemi che hanno fatto della trasformazione digitale un pilastro della riforma. Non si tratta solo di introdurre tecnologie, ma di ripensare i processi: dall’anamnesi alla dimissione, dalla presa in carico alla prevenzione, ogni fase deve essere riletta in chiave digitale e interconnessa. L’innovazione in sanità non è una variabile accessoria, è l’unico modo per garantire cure accessibili, sostenibili e personalizzate in un contesto di risorse limitate e bisogni crescenti.
© Riproduzione Riservata