DOPO IL CORTEO
«Un Pride politico» a Varese
I momenti più forti su Palestina e diritti negati. Rivendicazioni concrete anche su autodeterminazione, pace e visibilità

Un Pride politico, che ha scelto di esporsi, prendere posizione e imprimere una traccia. È il segno lasciato dalla Pride Night ai Giardini Estensi di Varese, dopo la sfilata arcobaleno. «Il momento più sentito? Quello sulla Palestina», dice Giovanni Boschini, presidente di Arcigay Varese, sintetizzando un palco dove parole come resistenza, autodeterminazione, visibilità e pace sono diventate rivendicazioni concrete.
BATTAGLIA CONTRO LA GUERRA
L’intervento più forte è stato quello del Comitato Varesino per la Palestina. «Sono una persona queer libanese: conosco i problemi della mia società, molto più di quanto voi possiate immaginare», ha esordito il relatore. Ma il punto era un altro: «Sono stanco dell’eccezionalismo occidentale che tratta l’omofobia come peggiore solo se viene da un arabo, un africano o un asiatico». Le parole sono andate dritte al cuore: «Questa non è liberazione, è pinkwashing. Usare i diritti queer per giustificare l’oppressione di altri. Sventolare bandiere arcobaleno mentre si bombardano civili. Non in mio nome. Mai». Nel mirino anche le politiche europee: «In Francia si vietano i pronomi neutri, in Polonia ci sono zone “LGBT-free”, in Italia ci ridono in faccia quando chiediamo una legge contro l’omotransfobia». E poi l’appello: «Datemi un Pride che non sia indifferente al sangue versato. Datemi una comunità queer che sappia resistere davvero. Non c’è Pride nel genocidio, non c’è Pride sotto l’apartheid. Free Palestine».
LIBERTÀ A TUTTO CAMPO
A colpire, con tono diverso ma ugualmente incisivo, anche le parole del gruppo trans e non binario Zen. «Esisto perché la visibilità è il contrario di solitudine», ha detto chi ha preso la parola. «Il Pride è anche un viaggio intimo, un cammino non tracciato. La visibilità non è un obbligo, l’autenticità non coincide con l’esposizione». E il monito finale, quasi un grido: «Abbiamo aspettato abbastanza. Abbiamo sussurrato troppo a lungo. Ora è il tempo di alzare la voce».
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