IL PROCESSO
«Vittime d’un padre padrone»
Artigiano accusato da moglie e figli di maltrattamenti: «Vietati libri, gite e feste»
«Gli schiaffi non li posso neanche contare, ma ogni 3-4 mesi fa gli scattava la scintilla e mi picchiava. Negli ultimi anni ho avuto paura che mi uccidesse. Una volta mi disse “Ti ammazzerò. Anzi, ti farò ammazzare».
«Diceva che mi avrebbe lasciato sulla sedia a rotelle, dovevo vivere e soffrire».
Nascosta dietro un paravento - per timore di non riuscire a raccontare tutto trovandosi di fronte l’uomo che sposò nel 1986 nella natia Sicilia, con il quale s’è poi trasferita nel Nord della provincia di Varese e dal quale ora ha trovato il coraggio di separarsi - la donna ha ricostruito in Tribunale circa trent’anni di matrimonio. Tre decenni caratterizzati da un crescendo di soprusi, violenze, minacce, privazioni.
«Non dovevo avere amicizie, non voleva che leggessi libri, me li ha fatti sparire tutti. Potevo leggere solo la Bibbia. Neanche i cruciverba potevo fare».
Anni di sottomissione al padre dei suoi cinque figli. Figli che oggi non hanno più alcun rapporto con quello che ritengono un padre padrone e che ora si trova sotto processo per maltrattamenti in famiglia.
Dopo aver denunciato il marito, artigiano di 56 anni, la donna si è trasferita in una località che non ha voluto rivelare in aula, temendo evidentemente delle ripercussioni.
«Le decisioni le ha sempre prese lui, anche per la scuola dei ragazzi, e io dovevo arrendermi», ha detto ricordando come la situazione sia degenerata dopo i primi vent’anni di matrimonio.
«Lui era il capo, io dovevo obbedire. Altrimenti ti strozzo, io so come non lasciarti i segni, mi diceva. Una volta mi minacciò con un coltello prendendomi alla gola mentre lavavo i piatti».
Lesioni per le quali non si è però mai fatta visitare in ospedale («Non avevo ferite né fratture, resistevo solo per i ragazzi»).
Dopo il trasferimento al Nord, alla fine degli Anni ‘80, il 56enne s’è avvicinato alla comunità evangelica ed è diventato molto religioso, fino ai limiti del fanatismo.
«Ho avuto cinque gravidanze e non ho mai fatto una visita dal ginecologo. Lui non voleva, diceva che la salute arriva da Dio, se preghi non ti viene nulla. Non mi sentivo una buona madre per questo, ma andare contro di lui era difficile».
Pessimi, come è emerso pure dalla testimonianza della figlia maggiore, anche i rapporti con i ragazzi.
«Io lo fermavo quando lui voleva picchiare i bambini. Aveva sempre pronta una paletta di legno, con la scritta “La correzione” e trovava sempre un motivo per punirli».
Ragazzi che non festeggiavano il compleanno («Solo qualche volta, quando erano piccoli») e che non partecipavano alle gite scolastiche coi compagni.
«Non ero libera di vestirmi come volevo, né lo potevano fare le mostre figlie. Vietava i pantaloni, ammetteva solo gonne lunghe e larghe che non facessero vedere le forme. Non voleva che ci truccassimo o indossassimo orecchini e collane. Non siamo mai andati a mangiare un gelato o una pizza. Ma non era sempre cosi, c’erano anche momenti di affetto, soprattutto se non beveva. Ma erano solo delle parentesi».
Una ricostruzione contestata dall’avvocato difensore, Andrea Boni, che nel controesame ha cercato di dimostrare come l’imputato, pur essendo un po’ troppo severo, non abbia maltrattato la famiglia.
Gli altri figli (assieme alla madre costituitisi parte civile con l’avvocato Romana Perin) saranno ascoltati nella prossima udienza, il 12 novembre.
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