SANITÀ
«Mi curo dove mi salvano»
Gallera: non è più tempo degli ospedali in ogni comune. Ospedale unico «Accordo a fine anno»

Accorpamenti di reparti, carenza di medici e infermieri, code per effettuare esami, caos nei pronto soccorso. Anche la sanità lombarda, sbandierata come «eccellenza» nello scalcagnato quadro nazionale, ha le sue pecche. E i pazienti le conoscono bene.
Le innovazioni introdotte dalla Legge 23/2015 non sembrano piacere alla popolazione, ma chi le ha sostenute le difende con tenacia, invocando «un cambio di mentalità». «Non ci sono più le condizioni, né come personale né in termini di capacità e competenza, per avere in ogni comune un ospedale che affronti ogni patologia con sicurezza», dichiara l’assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera.
Accorpare i reparti crea disagio ai malati. Ad esempio, chi era in cura all’Oncologia di Busto Arsizio storce il naso all’idea di recarsi a Gallarate...
«Quei due ospedali sono contigui. Cerchiamo di raggruppare le esperienze dei professionisti, in termini di casistica e di utilizzo di macchinari importanti - risponde Gallera - così i soldi vengono spesi in modo efficace e si danno risposte importanti alla salute».
È una scelta tutta lombarda o deriva da proposte nazionali?
«Penso alle Breast Unit: vengono unificate per essere performanti al massimo. Le indicazioni nazionali chiedono di gestire 150 casi all’anno per poter essere efficaci, ogni professionista deve averne affrontati 50. È garanzia di efficacia di intervento: se vedi un infarto al mese, non sai affrontarlo come chi ne vede uno ogni 15 minuti. Lo stesso vale per un tumore al pancreas o la nascita di un bambino».
Solo i grandi ospedali possono affrontare certi casi?
«Pensate a un parto: finché il bimbo non nasce, non si hanno certezze, in ogni momento può accadere qualcosa. Avere esperienza aiuta».
Vale per i pazienti e anche per i medici?
«Certo. Professionisti qualificati attraggono altri medici giovani. In alcuni ospedali, i bandi si ripetono ma i camici bianchi non partecipano. Per questo qualcosa si valorizza in una sede, qualcosa in un’altra».
E i pazienti si spostano...
«Parliamo di comuni vicini. Non possiamo organizzare una Oncologia in ogni quartiere. Salviamo le persone, questo conta. È finita un’epoca, si deve cambiare. Oggi per un tumore alla mammella il 95 per cento delle donne sopravvive a 5 anni dai primi sintomi, ma i tumori si individuano con mammografi all’avanguardia e grazie a personale esperto. Non posso averli in ogni ambulatorio».
Accentrare è dunque la risposta alla richiesta di qualità?
«Lo dicono le leggi e le società scientifiche. Chemioterapia, radioterapia, attività ambulatoriali di vario tipo, riabilitazione, si attuano in spazi più vicini alla gente. Per le cure costanti nascono ospedali e reparti di comunità, che possono avere gestione infermieristica. Questa è la nostra idea di sanità».
Accorpare vale anche per i pronto soccorso? Purtroppo sono sempre tutti intasati...
«Il grosso sforzo sta nell’evitare l’alto numero di codici bianchi: inappropriati per i pronto soccorso. Se un anziano ha la bronchite non lo porto in Ps, ma altrove. I centri di emergenza devono avere alcune sale per codici rossi e devono contare su sale operatorie disponibili».
Poi entra in gioco la carenza di personale. Quanto state facendo è sufficiente?
«Con questa carenza fanno i conti tutti gli ospedali italiani, non solo la Lombardia. Non si tratta di cattiva volontà da parte nostra, ci sono pochi specialisti e vanno dove vogliono. Abbiamo investito 10 milioni per avviare 30 borse di studio in più per Pediatria, Anestesia, Medicina d’urgenza, specialità particolarmente carenti. Tra un po’ inseriremo circa duemila specializzandi, in reparti e sale operatorie».
A proposito di interventi chirurgici, ormai si viene dimessi il giorno dopo un’anestesia totale e i pazienti non si sentono sicuri: non è un tantino eccessivo?
«Le infezioni si contraggono stando in ospedale. La scienza progredisce, gli interventi sono meno invasivi e si recupera prima. Meglio essere a casa propria, certo seguiti in modo corretto. Noi lavoriamo per migliorare le performance non per ridurle: posso fare qualche chilometro per avere maggiori possibilità di essere curato al top ed essere salvato. Nessuno rinuncia a tutto questo. In reparto si resta lo stretto necessario».
Busto Arsizio e Gallarate attendono l’ospedale unico: pare che ci sia qualche ritardo sull’accordo di programma, è così?
«L’idea è di arrivarci a fine anno. Se anche si sforasse di qualche settimana non cambierebbe nulla. L’ospedale si farà, anche se qualcuno ancora dice il contrario».
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