MUSICA
Lazarus: il regalo d’addio di Bowie al mondo
Manuel Agnelli: «Ho fatto le canzoni alla mia maniera, pur rispettandole». L’opera rock fu scritta dall’artista ormai malato con Enda Walsh

Bisogna chiamarlo teatro musicale, dato che «Bowie non voleva che si usasse la parola musical». Lo sottolinea Valter Malosti, regista della versione italiana del complesso progetto teatral-musicale Lazarus, considerato il testamento artistico di David Bowie. Dopo il successo dell’anno scorso al Teatro Piccolo di Milano, lo spettacolo con protagonista Manuel Agnelli nel ruolo dell’alieno Thomas Jerome Newton si rinnova per una nuova leg in un’altra istituzione prestigiosa della cultura meneghina, il Teatro Arcimboldi, dove ha esordito mercoledì 28 e rimarrà in cartellone fino a domenica 1° giugno (inizio sempre alle 21).
Malosti, direttore dell’Emilia Romagna Teatro ERT che produce lo show insieme al Teatro Nazionale di Roma, ha curato l’adattamento del copione originale realizzato da Bowie insieme al drammaturgo irlandese Enda Walsh. Lazarus ha debuttato a Broadway nel 2016, pochi giorni prima della morte di Bowie, e racconta le oniriche riflessioni esistenziali dell’extraterrestre già protagonista del film L’uomo che cadde sulla Terra, interpretato dallo stesso Duca Bianco.
«Bowie intendeva fare qualcosa che avesse a che fare molto profondamente con il teatro - spiega Malosti, che ha sfruttato l’amicizia con Walsh per confrontarsi con lui in fase di produzione -. La difficoltà più grande di questo lavoro è capirne la natura. Enda mi ha sempre detto che Bowie avrebbe voluto una cosa emozionale, che a volte facesse anche ridere. Quello che abbiamo cercato di fare è di tirar fuori questa corrente emozionale molto forte, togliendo qualsiasi pensiero intellettualistico». Avvalendosi di un cast che oltre ad Agnelli comprende Elisa Coclite, in arte Casadilego vincitrice della quattordicesima stagione di X Factor. Una sfida che fin dall’anno scorso il cantante degli Afterhours ha raccolto con dedizione: «L’ho accettata senza vergogna - confessa -. Per me Bowie è sempre stato un punto di riferimento e quindi avevo sì un po’ di paura, ma era molto più potente la voglia di far parte di questa cosa. È vero che ci sono pezzi di repertorio di Bowie, che non ha fatto in tempo a scrivere tutti gli inediti per l’opera, però l’opera in sé è stata scritta per l’oggi, non perché la recitasse lui ma perché la recitassero degli attori. E poi i temi trattati, come la lontananza da casa, la lontananza dagli affetti, la perdita dell’amore, il fatto di non riconoscersi più né nel mondo che ci circonda né in noi stessi, sono tutte cose che una persona della mia età ha vissuto diverse volte. Per me è stato un viaggio introspettivo e autoanalitico, che mi emoziona fare, ma nello stesso tempo ha una funzione salvifica che in qualche modo io ho trovato nella musica stessa: mi fa bene farlo, sera dopo sera». Malosti ricorda che «ci sono attori che cantano, cantanti che recitano, altri che fanno tutte e tre le cose, c’è anche la danza. Noi in qualche modo consegniamo un testo che è soprattutto musicale. Il modo che abbiamo suggerito sia io sia Manuel è stato di stare attaccati al testo. C’è una corrente fortissima legata alla musica, ma non è indifferente cosa stai dicendo, e questo lo fa diventare ancora più teatro musicale: ci sono canzoni che vanno prese e interpretate, non si possono sputare così, non ne esce fuori nulla». Sorretti da una live band che comprende membri di Negrita, Zu e Afterhours, durante lo spettacolo risuonano brani come Lazarus, inserito nel postumo Blackstar, ma anche Changes, Life on Mars, Always Crashing in the Same Car, riarrangiati per questo secondo ciclo di performance. «Io e Bowie non abbiamo un timbro simile - riflette Agnelli - ma conoscendolo così bene l’ho già cantato mille volte. Però sono anche convinto che fare karaoke non sia il modo giusto per restituire la tensione e l’emozione delle canzoni. Imitare Bowie in maniera precisa, a parte che sarebbe stato ridicolo, ma in più non avrebbe restituito quel tipo di energia, mentre invece sentire le canzoni mie, pur rispettandone la scrittura e l’interpretazione ma facendole alla mia maniera, me lo permette, nel mio piccolo». A queste costruzioni sfuggenti ma affascinanti si uniscono le installazioni video-artistiche di Luca Brinchi e Daniele Spanò e le coreografie di Michela Lucenti.
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