CORONAVIRUS
«Porti pazienza». Ricoverato a Bergamo
La chiamata al 118 e la speranza di un letto nell’ospedale di Busto Arsizio: la storia di un lonatese
Alcuni medici garantiscono che il sistema stia reggendo, altri allargano le braccia sconsolati. I pazienti hanno reazioni differenti a seconda della gravità della situazione che stanno vivendo e del proprio carattere. Capita così che, mentre dalle Asst del Varesotto rassicurino sul fatto che i ricoveri continuino a essere compiuti, c’è chi ieri, giovedì 5, è stato prelevato dalla propria abitazione di Lonate Pozzolo e trasportato d’urgenza all’ospedale di Ponte San Pietro, in provincia di Bergamo.
Per parte della giornata è sembrato che un letto si riuscisse a recuperare a Busto Arsizio, poi l’arrivo della squadra del 118 e la trasferta nella zona in cui a marzo si viveva il dramma peggiore e che, ora, pare respirare più del nostro territorio.
Una famiglia lonatese è stata particolarmente colpita dal Covid. Il capofamiglia lo ha contratto per primo, molto probabilmente negli ambulatori che frequenta per alcune terapie. Il figlio, 44 anni, lo ha sempre accompagnato in automobile. Il che lo ha portato a contrarre ugualmente il virus.
Febbre, tosse, malori che si sono intensificati per entrambi a partire da quindici giorni fa. Giovedì scorso il ricovero in ospedale del genitore è stato deciso dai medici delle Unità speciali di continuità assistenziale, intervenuti a domicilio: aveva bisogno di un supporto clinico costante ed è stato ricoverato a Gallarate, quando ancora l’emergenza, al Sant’Antonio Abate, appariva controllabile.
La moglie non sta benissimo ma a lei nessuno ha fatto il tampone. Il figlio ha sempre avuto la febbre oltre i 38 gradi. Lo scorso fine settimana è salita a 40. Nel contempo il fiato si faceva corto. La speranza di un ricovero lo ha spinto a recarsi al pronto soccorso di Busto Arsizio, dove ha passato 24 ore su una sedia, con una flebo di antibiotico al braccio. Dalle 10.30 di domenica, al mattino successivo, per poi essere rimandato a casa.
Da lunedì un progressivo peggioramento. Mercoledì la situazione si è fatta complicata, al punto da ricorrere a una bombola di ossigeno. Febbre a 39.6. Il lonatese ha iniziato a temere il peggio. Ieri mattina è emersa nel medico di base la consapevolezza del fatto che l’uomo non rispondesse alle terapie. Quando la saturazione dell’ossigeno è scesa a 89 (95 è il livello di guardia), la decisione di invocare un ricovero. Allora è iniziata la trafila delle chiamate.
Quando lo stesso 44enne si è rivolto al numero delle emergenze, si è sentito dire che altre cento persone erano nelle sue condizioni. Che doveva aspettare a casa, per non rischiare di attendere ore al pronto soccorso (esperienza già vissuta, ma non ripetibile nelle condizioni in cui si trovava).
Più tardi la speranza di un ricovero a Busto Arsizio, ma in realtà, verso le 15 l’ambulanza è arrivata seguendo le istruzione della centrale operativa regionale: il viaggio aveva come destinazione Ponte San Pietro, in provincia di Bergamo. Immediata la diagnosi: polmonite interstiziale, per la quale è stata approntata la corretta terapia.
La lontananza pesa, la consolazione è che lì, di Covid, se ne intendono. Eccome.
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