CASO MACCHI
Binda resta in carcere
Anche la Cassazione dice no al ricorso degli avvocati del presunto killer. E intanto sul processo d’appello pende la richiesta di ricusazione presentata dal legale della famiglia di Lidia

«Sono sempre più convinto che non ci sono elementi sufficienti per tenere Binda in carcere». Lo diceva al nostro giornale, nell’ottobre di tre anni fa, l’avvocato Sergio Martelli, sin dall’inizio della vicenda processuale difensore del 51enne di Brebbia, condannato nell’aprile di un anno fa dalla Corte d’Assise di Varese all’ergastolo per l’omicidio di Lidia Macchi. Quella dichiarazione dell’ex presidente dell’Ordine degli avvocati di Varese fu rilasciata a caldo, subito dopo aver appreso il “no” del gip del Tribunale di Varese, Anna Giorgetti, a una delle tante richieste di scarcerazione di Binda.
Non era il primo “no”. E non sarebbe stato nemmeno l’ultimo. Già, perché tutti i ricorsi finalizzati a mettere fine alla carcerazione preventiva che va avanti dal 15 gennaio del 2016, quando gli uomini della Squadra Mobile di Varese salirono all’abitazione di Binda a Brebbia per arrestarlo, si sono scontrati contro il “muro di gomma” eretto dai giudici. Gip e Corte d’Assise di Varese, Tribunale del Riesame e Corte d’Assise d’appello di Milano, per finire con la Corte di Cassazione, non ce n’è stato nessuno che ha messo in dubbio il fatto che Binda debba stare in cella. L’ultima decisione in ordine di tempo porta la firma della prima sezione penale della Cassazione.
Oggi, sabato 20 luglio, gli Ermellini hanno sciolto la riserva e a poche ore dall’udienza hanno deciso di rigettare il ricorso presentato dai legali di Binda contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Milano che, a sua volta, aveva confermato la necessità delle esigenze cautelari disposte in precedenza dalla prima Corte d’Assise d’appello di Milano.
Per la cronaca, anche il procuratore generale di Cassazione Stefano Tocci, nell’udienza a porte chiuse svolta venerdì mattina, aveva sollecitato il rigetto del ricorso presentato dagli avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito. Nessun commento da parte dei legali: tornati a Varese, i due staranno “limando” le proprie arringhe difensive in vista dell’udienza di mercoledì in cui è stata calendarizzata la discussione finale del processo davanti alla prima Corte d’Assise d’appello di Milano. Udienza, è bene precisarlo, al momento “sub iudice”. Se si potrà celebrare o meno, lo dovrà stabilire la quinta sezione della Corte d’Appello (presidente Giovanna Ichino). Quest’ultima è stata investita dell’istanza di ricusazione promossa dal legale della famiglia Macchi, l’avvocato Daniele Pizzi. Che ha chiesto la ricusazione del collegio della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano, presieduta da Ivana Caputo (giudice a latere Franca Anelli), per «manifesta anticipazione di giudizio».
L’avvocato Pizzi sostiene che vi sia il fondato motivo di dubitare dell’imparzialità di giudizio da parte del collegio giudicante attuale, chiamato a confermare o a cancellare la sentenza di condanna all’ergastolo a carico del 51enne Stefano Binda, imputato per l’omicidio di Lidia Macchi, la 21enne studentessa di Casbeno uccisa a Cittiglio nella notte tra il 5 e il 6 gennaio di 32 anni fa.
Venerdì 20 luglio l’istanza finalizzata a sostituire i giudici di appello di Binda è finita sul tavolo del presidente della Corte d’Appello di Milano Marina Anna Tavassi.
L’istanza contenente l’indicazione dei motivi e delle prove su cui si fonda la ricusazione - in tutto quasi venti pagine - non sarà però vagliata dal presidente della Corte d’Appello.
Seguendo la normativa vigente, infatti, sulla richiesta di ricusazione della Corte d’Assise d’Appello si deve esprimere la Corte d’Appello.
DUE SCENARI
Nello specifico, a Milano la materia è di competenza della Quinta sezione delle Corte d’Appello (la stessa che si occupa, tra le altre cose, dei procedimenti di estradizione e delle richieste di riparazione per ingiusta detenzione).
E, in effetti, ieri in tarda mattinata, un collegio composto da tre giudici della Quinta sezione della Corte d’Appello del capoluogo lombardo risultava già investito del caso.
In materia di ricusazione, la tempistica non prevede termini perentori. Come a dire che i giudici potrebbero esprimersi sul punto - sempre in udienza camerale (quindi a porte chiuse) -, accogliendo o rigettando, entro due, massimo tre giorni. Potrebbero però anche procedere a ulteriori approfondimenti e convocare un’udienza ad hoc.
In caso di rigetto dell’istanza dell’avvocato Pizzi in tempi rapidissimi, la Corte d’Assise d’Appello di Milano avrebbe il via libera per rispettare il suo calendario, che prevede di far discutere le parti e sentenziare tutto nella giornata di mercoledì 24 luglio.
Qualora, invece, la Quinta sezione della Corte d’Appello prendesse tempo o addirittura si trovasse d’accordo con il patrono civile nel prendere atto che «non ci sono le condizioni per arrivare alla conclusione finale» dinanzi al collegio giudicante presieduto dal giudice Ivana Caputo, allora magistrato togato e popolari sarebbero sostituiti in toto d’ufficio. Così, il processo d’appello dovrebbe ricominciare daccapo con la Corte d’Assise d’Appello in nuova composizione. E sicuramente non prima di settembre.
In aula l’avvocato di Mister X
Lidia Macchi: la seconda verità
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