DA VEDERE
Tullio Solenghi: «Sono lo stereotipo dell’avaro in salsa genovese»
Tullio Solenghi porta in scena le “maschere” rese celebri da Gilberto Govi, uno dei simboli della città di Genova

«È una sorta di foto d’epoca che a me piace riprendere in mano, come se uno sfogliasse l’album dei ricordi, perché tali sono. Quando io e la mia generazione di quando ero bambino vedevamo le commedie di Govi, credo che da allora lui abbia segnato qualcosa di importante, tanto è vero che il pubblico, soprattutto della mia età, lo vive come una sorta di piccolo rito collettivo. A volte dal palco mi trovo a dire battute con il pubblico che le ricorda talmente bene da condividerle con me. E mi fa piacere notare che questa grande marea di pubblico che lo conosceva possa venire di nuovo stimolata dalla riproposizione di Govi».
Non è nuovo, Tullio Solenghi, a portare in scena le “maschere” rese celebri da Gilberto Govi. L’aveva fatto con i Maneggi per maritare una figlia. Lo ripete con Pignasecca e Pignaverde da martedì 15 a sabato 19 aprile al Teatro Carcano di Milano e sabato 12 al Cinema Teatro di Chiasso: la commedia scritta da Emerico Valentinetti, registrata per la prima volta nel 1957 e interpretata appunto dalla Compagnia Comica Genovese diretta da Gilberto Govi, in cui l’attore considerato il fondatore del teatro dialettale genovese interpretava il ruolo del protagonista.
«Per me portare in scena maschere interpretate da Govi è stata un po’ una scelta obbligata – prosegue Solenghi, che di Genova è originario -, non solo affettivamente, ma anche perché quando Govi portava in scena queste commedie ci metteva molto del suo, anche se la drammaturgia non era sua. Il suo apporto era abbastanza fondamentale, tanto è vero che molte commedie sono firmate anche da lui. E credo fosse una scelta obbligata e necessaria riprodurre scenicamente quello che lui aveva costruito per rendere il tutto una piccola, grande magia». Una magia che i personaggi interpretati da Govi ripetono ogni volta, facendosi comprendere ovunque anche nelle battute in stretto genovese.
«Le sue maschere parlano davvero a tutti – ammette Solenghi -: lo verifico quando sono fuori dalla Liguria. All’inizio non nascondo che ci fosse qualche timore, ma adesso non più: anche al Quirino a Roma, dunque a una latitudine lontana da quella di partenza, l’hanno accolta con affetto. E ci sono amici di Palermo che mi chiedono di portarla da loro perché anche loro se la vogliono godere. Credo che questo sia proprio perché la memoria delle sue commedie è una memoria trasversale».
Una memoria trasversale che si lega al modo che Govi aveva di intendere il teatro. «Secondo me – prosegue Tullio Solenghi – il teatro che faceva lui era esclusivamente votato al pubblico. Era un teatro basico, e credo che si abbia un po’ nostalgia di questo teatro fatto veramente e interamente solo per il pubblico. La maschera che c’è in questo spettacolo, poi, credo sia ancora più godibile di quella dei Maneggi, perché Pignasecca e Pignaverde propone lo stereotipo dell’avaro in salsa genovese, che è qualcosa che con noi ha a che fare da tempo immemore». E che va oltre il fatto che, a ben guadare, i Genovesi avari non sono, e che questo sia veramente, appunto, uno stereotipo. «Sono quelle cose che rimangono nella memoria – conferma Solenghi -: e ironizzarci e riderci sopra esorcizza un po’ quella che è la negatività dell’avaro».
E in questa commedia incentrata sul tema classico del teatro comico in generale, quale è l’avarizia, Solenghi, che firma anche la regia e, con Margherita Rubino, l’adattamento, è affiancato da Mauro Pirovano, Roberto Alinghieri, Stefania Pepe e Laura Repetto, con progetto scenografico e costumi di Davide Livermore.
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